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Da Microsoft a Apple, in tanti sfruttano la morte di Amy Winehouse

Creato il 26 luglio 2011 da Appleforyou83
Che i media, di ogni tipo, vivano di notizie, di ogni tipo, è evidente. Così come è provato che enfatizzare quelle tragiche paghi, tenendole in vita, progressivamente dalla prima alle pagine interne, in una agonia fatta di flebo di inchiostro, anche quando la disgrazia meriterebbe solo un ricordo composto e intimo.
Ma che un castello simile potesse essere costruito all’interno di un ecosistema che comprende, oltre ai media, anche siti di e-commerce, social network e semplici navigatori lo scopriamo in queste ore.
Dalle 16 di sabato 23 luglio, ora in cui è stato scoperto il cadavere della povera Amy Winehouse, 27 anni, uno dei più grandi talenti canori degli ultimi anni, il web è stato il palcoscenico di una recita in cui, per una volta, i media ufficiali hanno fatto la parte dei comprimari, guadagnandoci al massimo un pugno di pageviews.
Io ho saputo della morte della cantante da Facebook, altri l’avranno scoperto su Twitter, qualcuno, fortunatamente per chi fa questo mestiere, dagli Rss dei siti di informazione ufficiali. Subito dopo tutti su Youtube, a rivedere i video della grande Amy e, guarda un po’, clip fino al giorno prima visitate da un pugno di utenti balzano in testa alla classifica delle più viste.
È bastato modificare furbescamente il titolo dei video aggiungendo un semplice R.I.P. (Rest in peace, riposi in pace), magari un commento sulla morte e il link a un blog, e il gioco è fatto: l’utente furbetto si mette in tasca qualche pugno di spiccioli provenienti da Google Adwords.
Ma non è finita. Gli introiti di Adwords sono, appunto, spiccioli, in confronto al (potenziale) giro di soldi correlato alla disgrazia che poteva mettere su un qualsiasi music store.
Il polverone lo ha innestato un incoscente Pr inglese di Microsoft che ha twittato: “Ricordate Amy Winehouse scaricando l’innovativo album “Back to Black” su Zune”. Messaggio subito rimangiato da Microsoft, dopo le proteste dei fan indignati. E ancora, poteva un sito come iTunes lasciarsi sfuggire l’occasione? E allora altro che tweet, qui ci vuole un aggiornamento immediato della home che evidenziasse e favorisse il download legale degli album pubblicati dalla cantante (The Atlantic ricorda che Apple guadagna 12 centesimi sul costo di 99 di una canzone).
Di più: spalla intera nella home di Amazon con un rimando a un “Per saperne di più” che, anziché farci sapere di più ci indirizza immediatamente a una pagina speciale che raggruppa tutti gli album e ne incentiva l’acquisto.
C’è un male in questa speculazione? Non lo sappiamo, ognuno ha la sua opinione. Ma certo è che “grazie” al web chi può guadagnarci qualcosa dalla morte di Amy Winehouse è una varietà di aziende e privati molto più ampia della ristretta cerchia dei discografici che già si stanno fregando le mani al pensiero della pubblicazione dell’album postumo. Anche questa è web democracy?
Via lastampa.it

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