Da Somewhere ai TQ

Creato il 04 agosto 2011 da Fabry2010

di Franz Krauspenhaar

Stanotte su Sky ho visto l’ultimo film di Sofia Coppola, Somewhere. Non vado più al cinema, è una perdita di tempo. E’ un pò come andare allo stadio: con tutte le partite visibili sul piccolo schermo perchè pagare il biglietto, lo spostamento, perdere tempo? La tv satellitare ha dato il colpo mortale al calcio dal vivo e al cinema sul grande schermo. E così sia, anche perchè il mondo è cambiato, e soprattutto si è involgarito, e no di certo perchè si dicono più parolacce in pubblico. Quando qualche anima bella mi accusa  di cattivo gusto spiego che simile categoria appartiene ai borghesucci del dopoguerra, o agli arricchiti dell’oggi, quelli che comprano i loro quadri a Telemarket. I clienti di un demente della pittura come Mark Kostabi. Tornando a me, stanotte, insonne come sempre, ho visto Somewhere. La storia di una star di Hollywood (piuttosto dimesso il pur bravo Stephen Dorff, forse poteva meglio rappresentare un assicuratore allo sbando, o un drogato all’ultimo buco), che pensa solo a scoparsi delle belle ragazze e a correre sulla sua Ferrari nuova di zecca. D’improvviso si trova in casa la figlia undicenne, che vive con la madre, e tra i due nasce un bel rapporto; e quando la ragazzina va al campo estivo l’uomo va in crisi esistenziale, telefona alla ex moglie disperato dicendo che non vale nulla (e noi tutto sommato gli daremmo ragione). Non trovando nella ex moglie un particolare conforto – come è tutto sommato giusto – l’uomo decolla sulla sua Ferrari in direzione del campo estivo, si ferma in un punto imprecisato di una strada deserta, esce dall’auto e comincia a camminare. Verso dove? Non si sa. Finale metaforico? Forse. Per il resto cosa dire? Che questo film si fa seguire in attesa di qualcosa che davvero succeda, ma non succede mai nulla. La Coppola ha la particolare abilità di fare un film cucendo tra loro numerosissimi tempi morti. Prende a prestito l’antica lezione della Nouvelle Vague, ma eliminando i veri colpi di scena. Il suo film sembra un documentario sui tempi morti della vita, dunque sulla vita vera. Ci fa addirittura assistere a una scena atroce nella quale l’attore viene premiato ai Telegatti da una Simona Ventura ripresa sempre di profilo e da un Frassica hollywoodianamente più freak del solito. A quel punto ti chiedi se la Coppola ti sta prendendo in giro o cosa le è passato per la testa, forse in un delirio di mancanza d’ispirazione. Forse, pensando al cugino Nicholas Cage, ti viene da pensare che il “familismo amorale” tipicamente italiano è anche affare – perlappunto di famiglia – del vecchio Francis Ford, lui grande talento certo che ha messo sul mercato un attore sinceramente mediocre e una figlia regista principessa sul pisello dell’inconsistenza. Somewhere insomma, sembra montato dai tempi morti di una serie tv con protagonisti un padre e una figlia. Un’operazione paragonabile a Mulholland Drive, il film di Lynch girato pensando a una serie tv e poi montato e rimontato per farne un film per il cinema. Furbamente, Mulholland Drive è assolutamente incomprensibile, ma per una cinica scelta produttiva. Un film che sarebbe dovuto essere buttato nella spazzatura, ma che il marketing attorno al grande regista ha inventato come capolavoro.
Pensando al film della Coppola mi è venuta in mente la Generazione TQ. Per chi non lo sapesse, quei trenta/quarantenni che tempo fa si sono riuniti dall’editore Laterza e si sono autonominati presente e futuro della letteratura italiana. Nomi noti e meno noti, ma tutti uniti dalla richiesta di incidere di più nella cultura italiana. Peccato che lor signori scrivano sui giornali da tempo. Peccato che un Christian Raimo, la cui produzione letteraria è di solo un libro e pure di racconti, si fa passare per il salvatore della patria. La preoccupazione del suo compare – d’anello o no, non ce ne frega niente – Nicola Lagioia, è quella di avere una rubrica in tv, come Baricco. Tale comportamento lascia un’amarezza indimenticabile. La letteratura italiana è diventata questo: un assemblaggio disarmonico di prosopopea, presunzione, arrivismo. Abbiamo le vallette intelligenti della narrativa che si comportano come se avessero vinto il Nobel. I compari TQ rivendicano cose che non si rivendicano, semmai si conquistano, e senza tante storie. Posso capire l’ambizione, ma quest’operazione di voler vincere sbandierando il vessillo di una generazione in realtà inesistente è assurda, pure blasfema. E anche sottilmente criminale e mafiosa. Se è la generazione di appartenenza la discriminante, allora siamo davvero alla fine d’ogni ritegno. Ecco, il manifesto dei TQ e Somewhere di Sofia Coppola si somigliano per l’inconsistenza malata e per questa cucitura di tempi morti, di scusanti storiche. Se però il film ha un suo significato, leggero e minimalista all’inverosimile, per cui è come se sparisse nel nulla da cui è venuto, alla fine, i TQ cuciono l’un l’altro il bigliettino collettivo per il potericchio al quale, ironia della sorte, già appartengono. I loro tempi morti segnano i nostri tempi disperati, o meglio sono l’ennesima dimostrazione che stiamo vivendo un lunghissimo tempo morto senza importanza e pieno di un’atroce, tristissima follia; somewhere, forse.



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