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Dag och natt

Creato il 25 novembre 2010 da Eraserhead
Dag och nattPuò un film essere avvincente, formalmente solido e significativamente pregno raccontando il lento sgretolarsi dei tanti piccoli tasselli che compongono un mosaico prossimo alla rovina attraverso un unico sguardo, un’unica fonte di conoscenza visiva e non? La risposta è positiva, può, e Simon Staho ce lo dimostra.
Dag och natt (2004, il titolo internazionale sarebbe Day and Night ma siccome non è stato distribuito in alcun paese anglofono ho lasciato quello originale) è un film che rafforza la mia idea di cinema, ovvero che la storia, qualunque essa sia, acquista più o meno valore a seconda di come viene raccontata.
L’assunto da cui la pellicola si dipana è decisamente usurato: un uomo di nome Thomas (Mikael Persbrandt), padre degenere, marito alcolizzato, fratello aberrante e figlio menefreghista, prima di partire per New York (ma la meta del viaggio è un’altra) decide di dire addio alle persone che per forza di cose hanno ruotato intorno alla sua vita.
Fin qui nulla da dire, se non fosse che tutto (TUTTO!) il film è ambientato all’interno di un’automobile dove le immagini riprese da due camere posizionate sul cruscotto, e puntate verso i due sedili, sono state montate ad arte dando vita ad un scorrevolissimo fiume di parole lungo un’ora e mezza curato oltre che dallo stesso Staho, anche da Peter Asmussen collaboratore di Von Trier ne Le onde del destino (1996) e nel fondamentale Daisy Diamond (2007).
Addentrandoci nella domanda posta all’inizio, ecco che ne sorge un’altra: come è possibile che uno sguardo unidirezionale come quello proposto dal regista danese risulti così efficace nel mostrare la pluralità dell’uomo Thomas (è padre ma anche figlio, è marito ma anche fratello) ad un passo dalla distruzione? Cioè, come accidenti è possibile che senza sapere, e soprattutto vedere, nulla del suo mondo di cartapesta non solo accettiamo il suo status di aspirante suicida ma veniamo risucchiati nei pessimi rapporti col figlio – gli uccide il canarino e ammette di non aver mai voluto essere padre –, nell’amore sciatto con la sua donna – l’amplesso in piedi fuori dalla macchina è pregevole –, nella conversazione con l’ex moglie – nostalgico dialogo del passato –, nelle rivelazioni con la sorella – anche l’incesto si incastra perfettamente nel distruttivo quadro del film –, nell’incontro con la madre malata – una spiaggia, la donna bendata quasi fuori campo e lui con una pistola puntata alla tempia –, nel vacuo contatto con una prostituta – la sua inettitudine si evidenzia qui come non mai –, negli ultimi minuti del film – la pioggia e il sedile del passeggero vuoto – come si diventa, dunque, realmente partecipi di un’opera che da una parte ha poco a che vedere col cinema ma che al contempo ne forgia una nuova declinazione?
Onestamente non lo so, però è successo e ne sono felice.
Quello che invece so è che il cinema di Staho si sta profilando come un Cinema del Dolore, cattivo, duro, senza pietà alcuna verso lo spettatore, e compatto, compattissimo, nella sua struttura.
Ci sono molti film che ripercorrono la vita di un uomo che sta per morire, come ci sono stati altrettanti modi usati per descrivere ciò, Dag och natt è una gelida ventata di novità che credo non abbia eguali. Se è vero che prima di morire si rivede la propria esistenza come in un film, bene, questo è un film che assembla gli ultimi pezzetti di una vita poco prima che essa abbia fine, e lo fa con una grossa premessa anticipatrice che comunque non inficia minimante nella sua fruizione. Già, perché inizia così:

Per la maggior parte delle persone martedì 9 settembre 2003 era un giorno come gli altri. Tuttavia per una persona questo giorno era speciale, proprio in questo giorno il quarantenne Thomas Ekman, un rispettato architetto e uomo di famiglia si sparerà un colpo in testa alle 8 e 03 usando una pistola Walther GSP comprata per tale scopo.

L’anno successivo Staho firmerà il film-fotocopia Bang Bang Orangutang.Dag och natt

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