Dagon Lorai è un giovane artista della provincia di Napoli. Comunica attraverso ogni tipo di arte, dal video alla musica, dalla scrittura alla pittura, dal disegno alla grafica digitale. La propensione all’arte e alla sperimentazione, unite ad una fervida creatività, fanno di lui un artista particolarmente prolifico. Dagon Lorai è anche (e sopratutto) una creatura sensibile, in grado di rivelare le piccole e grandi ipocrisie del mondo che abita; una serie infinita di contraddizioni e veleni dell’anima che vogliono solo essere raccontate.
I dipinti di Dagon Lorai sono ferite aperte sul mondo interiore dell’artista, della sua vita tormentata dall’abuso dell’estetica e della continua ricerca della bellezza; ricerca che, col tempo, si è trasformata in una corsa letale al vuoto scintillante. Non c’è nulla di ciò che può essere abitualmente considerato bello nei suoi quadri: sono popolati di personaggi storti, deformi, bizzarri, simulacri della difficoltà dell’esistenza. Sono nudi corpi del male di vivere ritorti in complicati abbracci o in muta contemplazione della loro realtà. In ogni loro posa vibra la parte spirituale rifiutata dall’uomo e dal mondo che si è costruito: una gabbia in cui chiudersi e buttare via la chiave. O piuttosto una megalopoli dell’ego, una piana sterile di corpi isolati nel proprio sforzarsi di apparire senza lasciare scampo all’anima.
Nella spasmodica corsa all’immagine molti adorano l’idea del sé artista, mostrandosi al mondo come tali, senza avere idea di cosa significhi; lo si è, e basta.
L’essenza di un artista sta nella sua lotta interiore, nel continuo dibattersi fra quello che “deve”, quello che “può” e quello che “vuole”, tre elementi essenziali che non coincidono quasi mai. L’artista è diviso fra il seguire l’istinto e l’assecondare la voglia di una normalità che sa non appartenergli. La sua natura è solitaria, profonda, riflessiva: gli permette di vedere il mondo con occhi che gli altri non hanno ma al tempo stesso lo isola. La solitudine è la sua debolezza e la sua forza.
Essere se stessi e imparare a seguirsi è un’arma a doppio taglio che difficilmente si impara a maneggiare; è impossibile scegliere, e non si può semplicemente decidere di smettere. Comunicarsi agli altri, affrontarli e affrontare se stessi senza lasciarsi influenzare e senza essere completamente estranei al mondo è una sfida che gli artisti affrontano da sempre.
Di solito ai finti basta cambiare idea per smettere di tediare il mondo con la loro mediocrità (senza avere idea del danno che hanno recato), ma i veri, inconsapevoli e ignari martiri del nuovo mondo, restano. Vanno avanti incuranti del mondo che li circonda e, al tempo stesso, profondamente invischiati nelle sue spire più nere. La condizione dell’artista, di “mostro” nella società attuale, estraneo al concetto comune di normale pur capendolo così bene – acuendo la consapevolezza della propria diversità – e trovando conforto solo nel comunicarsi, la si può ritrovare non solo nei dipinti di Dagon Lorai, ma anche nella sua musica.
In tal senso uno dei brani più significativi della sua discografia da solista è senza dubbio “John Merrick”, sesta traccia dell’album “Lascivia”, una ballata tragica dedicata al mitico “uomo elefante” la cui vita rappresenta, a conti fatti, quella di tutti gli artisti. Respinto per ciò che è, deriso e umiliato e insultato per ciò che è (e sfruttato economicamente dal padrone-produttore di turno), studiato dalla società “bene” e ridotto dalla stessa ad un personaggio bizzarro di cui parlare nei salotti, alla stregua di un animale ammaestrato, John aveva un unico desiderio: non la libertà da chi lo studiava o lo scrutava, né da chi lo derideva; il suo unico desiderio, diceva, era quello di poter dormire “come le persone normali”.
Oltre la fragile mostruosità dell’uomo elefante, la discografia di Dagon Lorai porta in rassegna un’ampia analisi della figura del mostro. Da quello della malattia (“SLA”, dall’EP “Nere Meccaniche”) a quella della religione, baluardo e ultimo vessillo dell’ipocrisia (v. il progetto “Dall’Esilio di Dio”); dai mostri che seguono la propria natura alla stregua degli artisti, tendendosi al male in ogni azione terrena (come in “L’origine del male” dall’album “Frigidarium”) a coloro che lo diventano soccombendo alla loro fragilità, prede del vizio (come nel brano “Elevando il gomito”, dall’ultimo lavoro solista “Ombra Luminaria”, una ballata malinconica sulla dipendenza).
I personaggi cantati da Dagon Lorai, così come quelli nei suoi dipinti, sono malinconici, ossessivi, mistici, orridi, teneri, un ibrido fra anima e paura: l’anima è la propria, e la paura è quella di rivelarla.
Discografia (disponibile in download gratuito)
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