Numeri naturali
Anche se l’operazione del contare ci sembra molto naturale, l’idea di numero naturale ha avuto un percorso lungo prima di arrivare a noi così come lo studiamo.
Come visto nel caso della matematica preistorica, l’idea di numero era strettamente legata a quella dell’oggetto o del gruppo di oggetti che bisognava contare. Infatti, come già sottolineato, venivano addirittura utilizzati termini differenti per indicare le stese quantità numeriche (si pensi ai termini “paio”, “duetto”, etc.).
Solo successivamente si capì che ciò che accomuna un insieme di due pecore e un insieme di due mucche è proprio il “numero” due, il quale non dipende dalla tipologia di oggetto preso in considerazione.
Si hanno testimonianze della faticosa evoluzione del concetto di numero anche nel modo in cui essi venivano rappresentati. Infatti, gli uomini primitivi usavano incidere le ossa degli animali con delle tacche, al fine di contare gli eventuali beni posseduti o le prede cacciate.
La rappresentazione astratta dei numeri seguì l’invenzione di simboli convenzionali per rappresentare le odierne cifre.
Lo zero
Non si sa con certezza quale popolo abbia usato per primo lo zero, ma si pensa che i Maya lo abbiano introdotto nel loro sistema a base 20. Poiché i Maya non erano a contatto con la civiltà europea, il simbolo utilizzato per indicare l’assenza di quantità arrivò a noi grazie al popolo degli Arabi, che diffusero nel 780 l’uso fattone dagli indiani, presumibilmente già tra il III e il VI secolo d.C.
Lo zero fu diffuso in Occidente da Leonardo Pisano, detto Fibonacci (1170 ca – 1250 ca), che lo presentò nella sua opera Liber Abaci (1202).
Gli Arabi tradussero il termine indiano sūnya (=vuoto) nel termine arabo “sifr”. Quest’ultimo fu tradotto da Fibonacci nel termine latino “zephirum”, da cui fu ricavato il termine veneziano “zevero” e, quindi, quello italiano “zero”.
Numeri negativi
La presenza dei numeri negativi è stata rinvenuta nelle tavolette babilonesi, in Cina (alcuni decenni prima della venuta di Cristo) e nell’Arithmetica di Diofanto (III secolo d.C.). malgrado ciò passarono diversi secoli prima che essi venissero accettati da tutta la comunità matematica!
I primi che utilizzarono i numeri negativi furono i matematici indiani nel VI secolo d.C., ma furono diffusi in Europa solo grazie a Fibonacci.
Diofanto sostiene che «una sottrazione moltiplicata per una sottrazione dà un’addizione», ovvero il prodotto di due numeri negativi dà un numero positivo. Diofanto non considera i numeri negativi come numeri e considera “assurde” le equazioni che ammettono soluzioni negative.
I matematici indiani Brahmagupta (598-668) e Bhaskara (1114-1185) contribuirono alla diffusione dei numeri negativi. Bhaskara, nel suo libro Lilavati, presenta un’aritmetica dei numeri negativi. Sono infatti presenti regole per effettuare le somme dei crediti e dei debiti.
Grazie agli Arabi, che non accettavano i numeri negativi quali soluzioni dei problemi, furono diffusi in Europa. Anche Fibonacci stesso non li accetta come soluzioni dei problemi, ma li utilizza per indicare i debiti.
I numeri negativi furono guardati con diffidenza nel periodo rinascimentale e venivano chiamati con espressioni particolari:
- Gerolamo Cardano (1501-1576) li definiva “numeri ficti” (numeri falsi) nella sua opera Ars magna (1545);
- Michael Stifel (1487-1567) li chiamava “numeri assurdi” nella sua opera Arithmetica integra (1544).
René Descartes (1596-1650) nella sua opera Géometrie (1637) usa i numeri con segno per individuare i segmenti orientati in versi opposti su una retta, sviluppa i calcoli con i numeri negativi, ma non li accetta come soluzioni delle equazioni, definendole “false”.
I termini “positivo” e “negativo” furono usati per la prima volta nel XVII secolo, ma la loro accettazione da parte della comunità matematica risale al XVIII secolo.
Malgrado la loro diffusione, alcuni matematici hanno continuato ad opporre resistenza ai numeri negativi, tra questi ricordiamo Blaise Pascal (1623-1662) e Augustus De Morgan (1806-1871).