La Turchia sta cominciando a fare seriamente i conti con la dimensione più burrascosa e cupa del suo passato repubblicano. Grazie alle riforme costituzionali approvate col referendum del 12 settembre 2010, è stato infatti possibile mettere sotto processo due tra i più alti responsabili del sanguinoso golpe del 12 settembre 1980, i generali Kenan Evren (che fu poi presidente della Repubblica) e Tahsin Şahinkaya; mentre da qualche giorno i magistrati si stanno occupando – con interrogatori e arresti – di chi organizzò il cosiddetto colpo di stato “post-moderno”: senza l’uso diretto della forza che venne solo minacciato, preceduto da una campagna di stampa isterica simile a quella degli ultimi tempi contro l’Akp, culminato con le dimissioni del primo ministro democraticamente eletto Erbakan (alla guida del partito islamista Refah), seguito da una serie di pesanti misure discriminatorie nei confronti dei settori conservatori della società turca (ne fece le spese anche Erdoğan, allora sindaco di Istanbul, condannato a qualche mese di prigione per aver letto una poesia sgradita durante un comizio). L’ingerenza dei militari, che ha impedito la nascita di una compiuta democrazia in Turchia, è ormai sterilizzata: il premier Erdoğan ha enfaticamente dichiarato che “l’era dei golpe è finita”; ma la transizione non sarà completa senza l’approvazione di una nuova costituzione: che cancelli ogni traccia di norme ideologicamente e formalmente autoritarie, che assicuri a tutti i turchi – senza differenza di etnia o di credo – i diritti e le libertà di una democrazia liberale.
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