Durante un lungo viaggio alcune cose vanno male e sembra che non ci possa fare proprio niente. Altre volte la colpa è più semplicemente soltanto tua.
Mattina alle quattro. Ero a Dar es Salaam, sull’Oceano Indiano. Dovevo arrivare a Mwanza, sul lago Vittoria, e il mio autobus partiva alle sei. Ero già in ritardo. Sono sceso in strada ancora mezzo addormentato e mi sono infilato sul primo taxi disponibile, sperando che il patologico ritardo dei mezzi di trasporto tanzanesi sarebbe intervenuto in mio soccorso. Tutto inutile, l’autobus era già partito. Allora mi sono fatto accompagnare ad un altro autobus diretto ad Arusha, dove avrei potuto prendere un mezzo per Mwanza.
Dopo qualche ora l’autobus si è fermato in una cittadina abbastanza grande e io ho chiesto al ragazzo che sedeva in parte a me se si trattasse di Arusha. Sì? No? Deciditi! Sì, ok. Sono sceso di corsa e ho offerto un po’ di comicità involontaria ai passanti, gesticolando disperatamente quando mi sono convinto che stessero per ripartire con il mio bagaglio quando invece stavano solamente facendo manovra per parcheggiare. Ho preso il mio zaino e mi sono diretto verso la biglietteria.
Sarà stato il karma che mi puniva per qualche nefandezza commessa in passato, ma tra il divertimento generale sono venuto a sapere che in realtà mi trovavo a Moshi, a 80 chilometri da Arusha e ben 700 dalla mia destinazione Mwanza. Ho preso una stanza nell’albergo più caro mi fosse capitato fino a quel momento e il facchino mi ha fatto capire come l’unica ragione d’esistenza di questa sperduta cittadina è la possibilità di organizzare delle escursioni sul Kilimanjaro, vagamente visibile anche dal mio balcone. A quanto pare, questa ragione è anche sufficiente a giustificare prezzi enormemente superiori a qualsiasi altra località simile del Paese.
Il mattino dopo sono riuscito a non perdere un altro pullman per Mwanza. I sedili erano così stretti da costringermi ad addossare una spalla contro il mio vicino per tutta la durata della tratta, con cui ho condiviso il fastidio per le canzoncine idiote trasmesse sullo schermo a volume devastante, l’intermezzo di wrestling e uno spezzone dell’ultimo Karate Kid, rimpiazzato a metà narrazione da una di quelle imbarazzanti opere di Bollywood, con tanto di eroi panzoni e baffuti, balletti, e combattimenti deprimenti. Visto che ero dell’umore giusto e che l’intrattenimento era eccelso, il viaggio si è prolungato di oltre quattro ore, portandoci a destinazione alle dieci e mezza anziché alle annunciate sei del pomeriggio.
Mentre ero in Sud Africa un caro amico mi ha regalato un libro di un autore americano, Paul Theroux, dal titolo “Dark Star Safari”. Vi si racconta come da Kampala, capitale dell’Uganda abbia raggiunto la Tanzania in nave attraverso il lago Vittoria. Io desideravo emularlo, ma il trasporto dei passeggeri era stato bandito dai governi che si affacciano sul lago per contenere le attività di pirateria e contrabbando. Theroux è un autore affermato, e ha amici in governi e ambasciate sparsi per tutta l’Africa. Io avevo solo il mio sorriso amichevole e la speranza che una nave cargo acconsentisse a darmi un passaggio fino all’altra sponda. Altro errore.
Ho visitato i piccoli porti mercantili uno dopo l’altro, alla ricerca di un vascello che mi aiutasse ad attraversare il lago. Niente da fare, il trasporto dei passeggeri non era proprio previsto. Allora mi sono fatto portare alla stazione degli autobus e ho fatto un biglietto per una cittadina oltre confine, Mtupali. ‘Da lì trovi un pullman per Kampala… saranno un paio d’ore… arriverai verso le sette e mezza…’ Maledetti.
Almeno ho potuto soddisfare il mio desiderio di navigare il lago: a un certo punto hanno imbarcato noi e il pullman e abbiamo attraversato una piccola insenatura in nave. Siamo arrivati a Mtupali per le cinque e mezza, neanche tanto tardi. Dopo le solite questioni doganali mi sono infilato in un taxi per un’altra località di passaggio e sono stato partecipe del notevole esercizio dell’infilare nove persone in una macchina, cinque dietro e quattro davanti.
Ero in Uganda. Avevo superato l’equatore. Ero a metà del mio viaggio e dopo circa sei mesi di peregrinazioni e 10,000 chilometri di strada ero finelmante tornato nel mio emisfero. Se non altro, avrei rivisto l’acqua del water scorrere in senso antiorario.
Da Città del Capo a Kampala:
Leggi la puntata precedente: attraverso la Tanzania sul Kilimanjaro Express.
Flavio Alagia
Dopo una laurea in giornalismo a Verona, mi sono messo lo zaino sulle spalle e non mi sono più fermato. Sei mesi a Londra, un anno in India, e poi il Brasile, il Sud Africa… non c’è un posto al mondo dove non andrei, e non credo sia poco dal momento che odio volare. L’aereo? Fatemi portare un paracadute e poi ne riparliamo.
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