Magazine Viaggi

Dal Capo al Cairo #26: Alessandria, l’ultima tappa di un lungo viaggio

Creato il 25 maggio 2013 da Nonsoloturisti @viaggiatori
Dopo due settimane al Cairo, ero ormai alle fasi finali del mio viaggio e cercavo di capire cosa mi sarei dovuto aspettare dalla sua conclusione. Cominciavo a sentire la stanchezza, e come se non bastasse l’otturatore della mia macchina fotografica era andato a farsi benedire mentre attraversavo la Nubia. Senza la mia fedele Nikon mi sentivo nudo come un verme e inutile come la birra senz’alcol. Avevo bisogno di cambiare aria, così ho telefonato in Alessandria per prenotare una camera all’Union Hotel e sono andato in Ramses Station a comprare un biglietto del treno.

Alessandria – o Alex, o Eskandrìa – sarebbe stata la mia ultima tappa. In realtà mi sarebbe piaciuto arrivare fino in Tunisia e prendere un gommone per Lampedusa, ma avrei dovuto attraversare la Libia ancora sotto il fuoco della guerra civile, e il mio senso dell’avventura non bastava a una tale avventatezza, non senza la minima preparazione né uno straccio di appoggio logistico. Non volevo essere l’idiota che si è fatto ammazzare senza apparente motivo in una guerra in cui non c’entrava nulla.

Tramonto sulla costa in Alessandria (foto di Cliff Hellis)


Fantasticavo di proseguire la marcia terrestre fino in Turchia, e poi arrivare in Grecia e sui balcani, ma in mezzo c’erano Giordania, Libano, Israele e Palestina. Smaniavo di visitare quei luoghi, ma non allo stremo delle mie forze fisiche e psichiche, in preda all’ansia di tornare a casa che mi avrebbe impedito di godermi tutto ciò che valeva la pena fare e vedere. Quello sarebbe stato un altro viaggio, ne ero certo.

Così mi sono messo in treno verso Alessandria. La metropolitana a Tahrir alle otto del mattino era piuttosto affollata, ma sono riuscito ad arrivare a Ramses Station senza troppi disagi. La prima classe per Alex è comoda e spaziosa, aria condizionata e servizio ristorazione. Io ne ho approfittato per dormire. In meno di tre ore siamo arrivati alla prima fermata cittadina, dove scendono solo impiegati, burocrati e uomini d’affari. Noi turisti arriviamo fino in centro. Il lungomare è a circa un chilometro di distanza. Con lo zaino il minibus è fuori discussione. Avrei potuto camminare, ma mi sono fatto convincere a prendere un taxi per dieci lire fino all’albergo.

Alessandria non era come me l’aspettavo. Sembrava uguale a una qualunque altra città egiziana, con traffico caotico, rumore dei clacson, inquinamento… Il suo fascino bohémien sembra essersi diluito nei secoli e quello che resta della sua carattere cosmopolita – sopravvissuto alla rivoluzione anti-monarchica del 1951, ma estintosi dopo l’attacco congiunto di Israele, Regno Unito e Francia nel 1954 – è relegato ai nomi delle vie indicati in tre lingue diverse (arabo, francese e inglese), con grande soddisfazione dei turisti che non sanno mai quale indicare ai conducenti di taxi. Ma il rumore delle onde sul lungomare, i locali retro dove mangiare pesce e bere birra e le pipe ad acqua sulla spiaggia continuavano a trasmettermi delle buone vibrazioni. Inoltre c’era il canto del muezzin che ti sorprende in mezzo al mercato, i palazzi coloniali dall’aria decadente, i monumenti greci e alessandrini, il tè sulla spiaggia, i ristoranti di pesce e le bellissime donne velate spesso riportanti i segni di una commistione culturale senza dubbio oscurata dal tempo ma non del tutto esaurita.

Un locale nel centro di Alessandria

Due sere di seguito ho notato macchine strombazzare per qualche matrimonio, e due notti di seguito sembrava che si fossero riuniti proprio sotto il mio balcone per urlare a squarcia gola, imitare musichette con i clacson e bloccare la via con le macchine. Ogni volta combattevo con la tentazione di scendere a vedere cosa stesse accadendo, ma mi sembrava di non riuscire più a lasciarmi coinvolgere da ciò che mi circondava, la testa era già in patria, niente di quello che vedevo riusciva a convincermi che c’era ancora una ragione valida per ritardare il mio rientro in Italia.

Era tempo di tornare alla realtà, ma volevo farlo nello spirito del viaggio che avevo intrapreso: senza volare. Mi sarei messo alla ricerca di una nave che mi riportasse in patria. Un altro piano destinato a fallire.

Leggi la puntata precedenta: alla scoperta della capitale egiziana.

Flavio Alagia

Flavio Alagia

Dopo una laurea in giornalismo a Verona, mi sono messo lo zaino sulle spalle e non mi sono più fermato. Sei mesi a Londra, un anno in India, e poi il Brasile, il Sudafrica… non c’è un posto al mondo dove non andrei, e non credo sia poco dal momento che odio volare. L’aereo? Fatemi portare un paracadute e poi ne riparliamo.

More Posts


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :