Ero arrivato fino ad Alessandria da Città del Capo attraverso Sudafrica, Botswana, Zimbabwe, Zambia, Malawi, Tanzania, Uganda, Sudan del Sud, Sudan ed Egitto. Dieci nazioni in cui avevo visto ricchezza, povertà, malattia, fame, gioia, disperazione, avidità, ospitalità, paura e incoscienza. Avrei potuto fare molto di più, ma ora volevo solamente tornare a casa.
Speravo di concludere il viaggio così come lo avevo sempre affrontato, senza mai volare, perciò ero alla ricerca di un’imbarcazione che mi riportasse in qualche modo in patria. Però la guerra in Libia e in Siria e il delicato equilibrio dei paesi appena usciti dalle varie rivoluzioni erano contro di me. Le compagnie di navigazione avevano interrotto le rotte verso l’Africa, restavano solamente i mercantili per il trasporto delle merci. Tra cantieri polverosi, telefonate inconcludenti e molto camminare, dopo tre giorni non avevo ancora trovato un’imbarcazione che mi accettasse a bordo.
Nel frattempo non riuscivo nemmeno ad apprezzare la pur affascinante Alessandria d’Egitto. I bar, i ristoranti, le musiche, i colori, gli odori… tutto questo non mi apparteneva più, era finita. Il viaggio finisce nella testa prima ancora di arrivare a destinazione. La domanda ricorrente di ogni viaggio è “cosa ci sto a fare qui?”, ma quando la risposta manca per troppo tempo bisogna sostituire la domanda con “è arrivato il momento di tornare a casa?”, e poi arriva “ma dov’è ‘casa’?”. Mi restava una sola cosa da fare: tornare al Cairo e prendere un aereo.
Finiva così, senza gloria, senza fuochi d’artificio. Una tappa insulsa in un vicolo cieco, lo stallo, l’incertezza, e un aereo per tornare a casa da un viaggio in cui mi ero ripromesso di non volare. Molto poco edificante. Eppure mi bastava avere un biglietto d’areo in tasca – la data di scadenza che incombe sulla nostra presenza fisica in un luogo – per dare nuovamente un senso alle cose. Non ero più un esule disperso in mezzo a un viaggio senza più alcun senso. Avevo di nuovo una direzione, una meta. Mi trovavo in un posto che presto avrei lasciato, e perciò tanto più affascinante e gradevole.
L’ultima sera ad Alessandria sono andato in cerca del Cap d’Or, un vecchio ristorante famoso tra turisti e viaggiatori per l’atmosfera scanzonata e le abbondanti bevute. Come spesso mi era accaduto in Africa, nessuno sembrava essere in grado di aiutarmi a raggiungere la mia meta, ma perdermi per i quartieri in degrado di quella che una volta era la città più cosmopolita del Mediterraneo non mi dispiaceva. Davanti all’università, i cui quartieri si affacciano sul mare, un comizio mi ricordava che stavo per lasciare un paese in cui era ancora in corso una rivoluzione. Da lì a qualche settimana sarebbe tornato a scorrere il sangue per le strade della città, ma quella sera si respirava solo la brezza sollevata dal mare, la tensione di una fase di transizione non ancora esaurita e le speranze dei giovani che finalmente intravedevano la possibilità di riappropriarsi del loro futuro.
Ma i sogni, purtroppo, finiscono, proprio come i viaggi. Riprendersi da entrambi può apparire simile per molti versi. La realtà ti si pone sempre più nitida davanti agli occhi, il ricordo delle azioni compiute perde dettagli, i problemi e i dubbi accantonati fino a poco prima tornano a premere imperiosi contro le nostre esili certezze. Tornare da un lungo viaggio è proprio come svegliarsi da un lungo sogno, e la realtà non è mai come ce la ricordavamo.
Ma ci si sveglia davvero del tutto? Il mio tour africano era concluso, ma il viaggio proseguiva. Dopo essere atterrato a Roma sono andato a trovare i miei zii in Calabria, e davanti all’impressionante spettacolo della Gola del Raganello mi sono sorpreso a confessare che “abito nel Paese più bello del mondo”. In Svizzera mi aspettava mio padre – e forse il mio futuro – ma afferravo ogni scusa per fare tappa lungo la strada e visitare amici a Roma, Firenze, Verona…
Il viaggio non finisce mai. La vita è un viaggio la cui destinazione è la persona che saremo, per questo proprio come in ogni viaggio non dovremmo mai avere troppa paura del diverso, dell’imprevisto, di cambiare rotta e lasciarci guidare dalla corrente. Ogni viaggio ha una meta, solo che noi spesso la scopriamo soltanto quando siamo giunti alla fine.
Flavio Alagia
Dopo una laurea in giornalismo a Verona, mi sono messo lo zaino sulle spalle e non mi sono più fermato. Sei mesi a Londra, un anno in India, e poi il Brasile, il Sudafrica… non c’è un posto al mondo dove non andrei, e non credo sia poco dal momento che odio volare. L’aereo? Fatemi portare un paracadute e poi ne riparliamo.