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Dal disastro… “i robot dell’alba”?

Creato il 06 marzo 2014 da Fisiciaroundtheworld

Image of a robotic hand with a bulb

Il titolo in onore di Isaac Asimov è un accenno alla fatidica domanda che tutti gli appassionati di tecnologìa prima o poi si pongono: quale sarà l’impiego del primo “vero” robot umanoide e quando verrà?

 Un documentario in inglese proposto da NHK, la tivù nipponica, e dal titolo promettente: “Future is today” (“Il futuro è oggi”) ci spiega perchè la realizzazione di robot umanoidi sia diventata una priorità della ricerca del campo della robotica, e quali sono le ultime impressionanti evoluzioni:  “http://www.youtube.com/watch?v=8qg0AP7yc28″ .

Ne riassumo qui di seguito il contenuto.

Era il 2011 e in Giappone le abilità motorie di ASIMO, umanoide costruito in proprio da HONDA, facevano spettacolo. Una ricerca, quella della HONDA, considerata abbastanza d’elite e carica di grandi ideali come quelli della “realizzazione dell’umanoide perfetto che cambierà in meglio la qualità della vita degli uomini”.

Il destino avrebbe però ben presto riservato un’amara sorpresa: quando giunsero il terremoto e l’incidente nucleare di Fukushima, TEPCO e le autorità necessitavano urgentemente di operatori in grado di rimettere in funzione l’impianto dall’interno, ma a causa dell’elevato tasso di radioattività avvicinarsi ai reattori sarebbe stato troppo pericoloso per qualunque essere umano. Venne così inoltrata una richiesta ufficiale alla HONDA, per acconsentire ad inviare sul posto delle unità robotiche in grado di sostituire gli operatori umani. Ma immediatamente alla HONDA si resero conto, purtroppo, che la propria tecnologìa più avanzata era ancora totalmente insuffuciente. Il robottino di casa ASIMO ad esempio  era stato palesemente concepito per eseguire performance ginniche nei saloni privi di ostacoli delle grandi fiere tecnologiche, ma in un contesto accidentato si sarebbe ribaltato come un giocattolo.

Oltreoceano, alla DARPA, non fecero neanche in tempo a guardarsi negli occhi, che subito realizzarono di essere totalmente impreparati di fronte ad un qualunque tipo di evento di emergenza che richiedesse operazioni eseguite di routine da esseri umani, ma che vedesse preclusa per ragioni di pericolosità la possibilità di un intervento umano. Pronti, via. Partì così la corsa all’angelo robotico del salvataggio, spinta ovviamente dalla doppia possibile origine – civile e militare – di un evento catastrofico.
Fino a Fukushima, infatti, la ricerca della robotica si era focalizzata sulla realizzazione di automi estremamente specializzati, efficaci nelll’ottimizzare velocità e precisione di singole operazioni, dotati di una forma distante da quella umana. Ma una situazione d’emergenza imprevedibile avrebbe potuto necessitare l’uso di automi capaci di muoversi agilmente in ambienti concepiti a misura d’uomo, salire e scendere le scale, chiudere porte e valvole, realizzare saldature o utilizzare strumenti di varia tipologìa: nel caso di Fukushima l’intervento di automi umanoidi entro le 24 ore successive al terremoto avrebbe potuto evitare la fusione del nucleo di almeno uno dei reattori.

Da qui ha avuto inizio la corsa al primo umanoide tuttofare, in cui la DARPA è giunta persino a creare una competizione omonima, la “DARPA robotics challenge” per assegnare finanziamenti ai migliori concorrenti: http://www.darpa.mil/Our_Work/TTO/Programs/DARPA_Robotics_Challenge.aspx .    
Una corsa che quando giungerà a termine sul “fronte emergenze” è destinata a cambiare ancor di più gli scenari del mondo del lavoro.

Paura di perderlo per colpa di un robot? Un libro interessante: “I robot ti ruberanno il lavoro, ma va bene così” (http://www.robotswillstealyourjob.com/index.php?q=it/home) di Federico Pistono, ci dice che in fondo lo scenario non potrebbe essere così terribile, ricordandoci che gestendo bene l’aumento di produttività generato da un mondo tecnologicamente avanzato potremo finalmente lavorare tutti un po’ di meno.  Sempre che alla fine gli uomini che possiedono i robots cocedano un po’ anche agli altri i vantaggi della loro iper-produzione.



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