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Dal movimento 5 stelle al mondo 5 stelle?

Creato il 05 marzo 2014 da Eurasia @eurasiarivista

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In un video messaggio di Casaleggio Associati si preconizzava una guerra tra l’Occidente, con la sua «democrazia diretta e del libero accesso a internet», ed il blocco sostituito da «Cina, Russia e Medio Oriente»: da siffatti presupposti e ripercorrendo le vicende risorgimentali italiane, nonché le tensioni internazionali che hanno interessato la massa eurasiatica quanto meno a partire dal XIX secolo, il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo assume in effetti una connotazione inedita, corroborata dagli attestati di stima provenienti da strutture legate a doppio filo con le centrali di potere statunitensi.

A che serve l’Italia?

Lo sbarco di Grillo in Sicilia, effettuato a nuoto, fu la prova più eloquente che il comico stava facendo sul serio. Neanche la scelta del luogo poteva dirsi casuale: da ormai due secoli ogni cambiamento politico d’Italia ha preso piede proprio dalla Sicilia. La situazione attuale ha molti punti di contatto con i carbonari, volti ad eliminare la tutela della Santa Alleanza (degli imperi d’Austria e Russia) sull’Italia grazie al sostegno inglese. L’Austria all’epoca si considerava erede del Sacro Romano impero della Nazione Germanica, abolito nel 1806, ma allo scettro del quale gli Asburgo rinunciarono solo dopo la sconfitta subita dai prussiani nella guerra del 1866. Contestualmente l’Italia ottenne il Veneto, ma Venezia perse l’Istria e la Dalmazia. Il leone marciano continuò a sventolare a Corfù, capitale del protettorato britannico dello Stato Ionio, anche se ridotto ad un tassello posto sul battente dell’Union Jack.
Ma perché gli inglesi sostennero i rivoluzionari italiani? La risposta è puramente pragmatica, l’assetto scaturito dal Congresso di Vienna era volto a creare una serie di Stati cuscinetto in modo da prevenire eventuali rigurgiti rivoluzionari in Francia, mentre l’Austria e l’Impero ottomano ebbero il compito di contenere l’espansionismo russo nel Mediterraneo, tanto che in seguito all’implosione della Russia del 1917 entrambi persero la loro vera ragion d’essere.

L’Austria iniziò a perdere il sostegno inglese dopo i moti del 1821, in quanto a Londra ci si rese conto che l’oppressione cui era soggetta l’Italia sarebbe necessariamente sfociata in una rivoluzione dagli esiti imprevedibili. In Italia la cura teutonica, insomma, era peggio del male che essa doveva curare, tanto valeva assecondare un processo rivoluzionario per non restare sopraffatti dagli eventi. A partire del 1821 gli inglesi iniziarono ad appoggiare i rivoluzionari nel Regno delle Due Sicilie, ma anche la Grecia col trattato di Londra ottenne l’indipendenza dopo una sanguinosa guerra civile durata sostanzialmente dal 1823 al 1836. Il processo avrebbe poi innescato nei Balcani una reazione a catena, nota come “Questione Orientale”, vale a dire la decomposizione pilotata dell’Impero ottomano, ormai palesemente incapace di contenere la spinta russa. Il processo assomigliò molto a quella che sarebbe poi stata la decolonizzazione in Africa del XX secolo: la Francia emancipò la Romania, la Russia la Bulgaria, mentre Serbia e Montenegro divennero una specie di condominio austro-russo che non trovò mai un assetto stabile, anzi, l’attentato di Sarajevo del 1914 si rivelò fatale ad entrambi gli imperi, zarista ed asburgico.

Gli inglesi si mossero in Grecia non tanto per osteggiare il sultano, quanto per impedire un’affermazione russa nella penisola. In Italia, protetta dall’argine balcanico, la minaccia di uno sfondamento russo restava remota. Quando le rivoluzioni scoppiarono nel 1848 in tutta Europa, spazzando via l’influenza austriaca dall’Italia, gli inglesi tolsero l’appoggio ai rivoluzionari. La cosiddetta “Primavera dei popoli”, anziché liberare polacchi, ungheresi e italiani dal giogo austriaco, avrebbe imposto loro uno tedesco in via di formazione all’assemblea nazionale di Francoforte. Al posto di un’Austria sarebbe nata una grande Germania dal Baltico all’Adriatico, la cui fede antirussa sarebbe stata tutta da dimostrare. Con la prospettiva della nascita di una nuova potenza rivoluzionaria in Europa dopo quella napoleonica, le rivoluzioni del 1848 furono lasciate a se stesse.

L’assetto successivo al 1948 era ancora più problematico e foriero di rischi: i risvegliati nazionalismi slavi ora si stavano spontaneamente rivolgendo alla grande madre Russia, la quale aveva rafforzato di molto la sua presenza politica e commerciale nei Balcani e nel Mediterraneo, facendo leva su Napoli. I rischi di una marea russa all’insegna del panslavismo furono prontamente riconosciuti e contrastati da una inedita alleanza franco-inglese che fu impegnata in una lunga e logorante guerra in Crimea (1853–1856).

È la guerra di Crimea a segnare lo spartiacque: l’Austria rimase neutrale e Napoli sostenne i russi confermando i peggior sospetti inglesi. Il regno sabaudo poté così procedere con il suo progetto di espansione sulla penisola, ma questo dopo che il piano dei Savoia di ascesa sul trono di Spagna era fallito. I francesi erano disposti a sostenere l’espansione del Piemonte nel nord fino a Trieste, nell’ambito di una riedizione del Regno d’Italia napoleonico del 1806. Gli inglesi volevano molto di più, anzi volevano un’altra cosa: la messa in sicurezza del Regno di Napoli. Finché restava protagonista, quella inglese era solo un’alternativa.

Dopo la sconfitta della Francia a Sedan nel 1870 il piano inglese non ebbe più ostacoli: Roma divenne la capitale di un’Italia unita da Nord a Sud. L’Ungheria, nell’ambito dell’Ausgleich, ottenne il porto di Fiume, collegato a Budapest con una ferrovia finanziata con capitale dei Rothschild e finalizzato a dare una capacità logistica alla necessità di contenimento militare della Russia. L’Austria, ormai rivelatasi incapace e inadeguata allo scopo che le era stato assegnato nel 1815, poté così rilassarsi ad un declino del quale la fioritura culturale fu la manifestazione più notevole.

A che serve Grillo?

Un importante video-messaggio di Casaleggio Associati prefigurava una guerra tra l’Occidente, con la sua « democrazia diretta e del libero accesso a internet» e « Cina, Russia e Medio Oriente»i. Casaleggio individuava una partizione primordiale tra un mondo libertario atlantico e individualista mediterraneo, contrapposto all’enorme blocco continentale euroasiatico, un grande spazio (Grossraum) a vocazione totalitaria, che oggi vede comprendere Russia e Germania, alle quali si associa la Cina. Uno scontro combattuto sul fronte delle coscienze, piuttosto che una campagna volta alla conquista del territorio, una guerra civile di proporzioni circumplanetarie che durerà decenni. Casaleggio ha già dimostrato doti di pura genialità e purtroppo temo che abbia visto giusto.

Dopo che l’area pivot di Mackinder era stata attaccata dalla forza bruta americana a partire dal settembre 2001, abbiamo assistito nel Nord Africa ad una nuova stagione di conflitti tra mare e terra. Una riedizione dello scontro per l’area pivot del globo già prefigurato da Mackinder nel 1902ii, che poco dopo dette vita a due guerre mondiali: la prima combattutasi in Europa dal 1908 al 1948 (dallo scoppio della crisi di Bosnia all’inizio della Guerra Fredda) e la seconda combattutasi in Asia dal 1912 al 1952 (dalla proclamazione della repubblica in Cina alla Guerra di Corea). Al termine dei due conflitti mondiali, entrambi durati quarant’anni, il Grossraum euroasiatico divenne comunista, forse perché l’ideologia del socialismo scientifico giustificava una risposta autoritaria alle carenze di sviluppo infrastrutturale ed economica del pivot. Non è un caso che il padre del comunismo fosse tedesco e che per decenni l’ideologia marxista si diffuse di pari passo all’influenza economica tecnologica e culturale della Germania guglielmina. Entrambi i conflitti iniziarono con gli inglesi impegnati a contenere i tedeschi, che a loro volta sostennero Sun Yat Sen e Lenin e finirono con Stalin e Mao contrapposti al containment americano.

Casaleggio ha la vision dello scontro planetario. Se può pensare una guerra, allora può anche combatterla. A sostegno della sua strategia Casaleggio dispone di un’ideologia (la sovranità dell’individuo, la supremazia della conoscenza sul possesso, l’informazione come arma strategica rispetto alla tecnica). Il suo è il primo movimento politico nativo digitale che anche grazie a Grillo ha dimostrato di poter funzionare.

Su questi presupposti, il M5S oggi, a differenza degli altri partiti italiani, indistintamente di matrice filoatlantica, dispone di una visione geopolitica, di un’ideologia politica e di una capacità di realizzazione tecnica. Se questo fosse vero, allora la posta in gioco che si apre col M5S è molto più ampia di quanto possa sembrare. Esso apre, anzi definisce, una linea di faglia planetaria e pertanto verso di lui si riverseranno risorse materiali e morali di ampia portata. L’establishment angloamericano (dal nobel Stigliz alla direzione strategica – e quindi politica – di Goldman Sachs) hanno pertanto espresso l’endorsment per un movimento che solo superficialmente è un movimento di lazzaroni, riuniti in una federazione virtuale. Le implicazioni del M5S cessano di essere contingenti alla realtà politica italiana. Grillo può ora cambiare il mondo e solo cambiando il mondo può cambiare l’Italia.

L’Italia è probabilmente l’unico paese al mondo che ha vissuto in prima linea il crollo del Muro, le guerre balcaniche, le rivoluzioni africane, ma anche la riaffermazione del Grossraum euroasiatico. Qualcosa di simile accadde già nel primo dopoguerra, quando il Paese si trovò sulla linea di faglia causata dal crollo degli imperi zarista, asburgico ed ottomano. Ne risultò il fascismo di Mussolini che come modello politico universale di contenimento del comunismo – e quindi del Grossraum euroasiatico – fu esportato in tutti i continenti: dall’Europa degli anni Trenta, all’Asia degli anni Quaranta e infine all’America Latina degli anni Cinquanta.

*William Klinger (Fiume 1972) ha un Master in Scienze Politiche alla Central European University di Budapest, è PhD presso l’European Univeristy Institute di Firenze, ricercatore della Lega Nazionale di Trieste e del Centro di Ricerche Storiche di Rovigno, nelle cui collane ha scritto numerosi saggi, così come per la rivista della Società di Studi Fiumani di Roma “Fiume. Rivista di studi adriatici”; collabora con giornali e fondazioni scientifiche in Slovenia, Croazia e Serbia.

NOTE

1) Gaia – The future of politics, visionabile su Youtube

2) Halford J. Mackinder, The Geographical Pivot of History, in “Geographical Journal”, n. 23, anno 1904, p. 421


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