A meno di non aver ricevuto il dono apostolico del poliglottismo, tutti dobbiamo ammettere l'essenzialità, nella fruizione di un'opera letteraria, della traduzione e, quindi, di chi la realizza. Ma la traduzione non è soltanto la mera trasposizione di un insieme di parole e frasi da una lingua ad un'altra, bensì un processo intimamente legato all'interpretazione, soprattutto in quei casi in cui espressioni locali o fraseologie proverbiali richiedono un discernimento che il dizionario non può offrire.
In un recente articolo di Marco Filoni su minima&moralia si parla di Traduzione come atto d'amore, e basta scorrere l'intervento per rendersi conto di quanto sia azzeccata questa definizione. Il rapporto di intimità fra il traduttore e il testo che è chiamato a rendere ricalca quello di una relazione personale, a ribadire quanto i libri non siano universi chiusi e autoreferenziali, ma necessitino di un reale confronto con chi li legge: la sensibilità dell'esegeta e del traduttore permette di instaurarlo.Esistono diverse forme di traduzione, che, semplificati, definiscono una dialettica fra una resa letterale e una artistica o letteraria. Parlando di poesia, oltre alla traduzione si pongono in forma molto più rilevante il problema della metrica e della ritmica e quello dello stile.
Partendo dall'esempio delle lingue classiche, che pongono diversi problemi, vediamo alcune tipologie di traduzione.
Il Traduttese. Chiamasi Traduttese la tendenza all'uniformazione, una pratica della traduzione automatica e più preoccupata della corrispondenza dei singoli elementi tradotti con quelli da tradurre, una sorta di deriva della traduzione interlineare o filologica. Si tratta della forma più rassicurante di approccio, che ci garantisce di aver detto tutto, ma, allo stesso tempo, sancisce la perdita complessiva della specificità del testo, sia essa artistica o tecnica. Il traduttese è il metodo dell'apprendista traduttore, quello che, per capirci, in un testo latino fa corrispondere sistematicamente il puer al fanciullo e la puella alla fanciulla, senza curarsi delle sfumature (puer inteso come sciocco o ragazzino) o della possibilità di usare dei termini più attuali (forse perché bambino appare troppo colloquiale). In breve, lo studente che, nel suo approccio allo studio delle lingue classiche, assorbe un lessico o delle 'rese-salvagente' di costrutti ricorrenti come ablativi assoluti o cum narrativi si vota alla riproduzione di un modello linguistico fortemente artificioso, utilissimo per la propedeutica, ma povero in sede di studio della letteratura e dei suoi sottogeneri, tanto meno auspicabile nella pratica specialistica.
Non sapevo che questo modello di lingua avesse una sua identità fino all'appuntamento, nel corso del Festivaletteratura 2013, con Translation slam - speciale classici, con Anna Beltrametti, Federico Condello e Andrea Rodighiero, ma, in effetti, si tratta di un blocco di norme e adattamenti che qualsiasi studente liceale alle prese con il latino (e il greco) impara presto a maneggiare. Condello è intervenuto sul tema anche nel suo articolo Su qualche caratteristica e qualche effetto del «traduttese» classico, dove mette in luce l'artificiosità e la natura conservativa di questo insieme di regole e corrispondenze che generano traduzioni uniformi e senza anima, del tutto indifferenti alla destinazione della traduzione (scolastica, specialistica, recitativa). Ne deriva una percezione delle lingue classiche come lingue inerti, invariate e piatte, entità «metastoriche» neutrali e insipide: ciò genera disaffezione e scoraggia la riflessione linguistica, la ricerca del senso, il coinvolgimento e il rapporto emotivo in virtù del quale i migliori traduttori sono stati, in passato, a loro volta poeti, come Leopardi o Quasimodo. Il traduttese consolida l'idea di una traduzione monolitica assoluta, mentre sappiamo bene che la traduzione non si risolve nella resa delle singole parole ma in un'interpretazione profonda che può variare con il tempo e a seconda delle persone... ecco perché non deve stupire l'aneddoto della Kundera riportato da Marco Filoni. Vale anche qui il discorso fatto a proposito delle parafrasi: anche il traduttese ha una forte valenza pedagogica, ma ciò che risulta dalla sua applicazione deve stimolare la riflessione linguistica e l'interpretazione, non costituire il fine della traduzione stessa.
La traduzione contrastiva. Proprio considerando l'intrinseca molteplicità della versione, un valido aiuto nella pratica del traduttore sia in ambito didattico che nella produzione specialistica risiede nel confronto fra traduzioni diverse: il testo di partenza viene affiancato da più traduzioni (almeno tre o quattro per assicurare una consistente campionatura delle variabili) che servono non certo da bagaglio di copia o da grande magazzino delle soluzioni, bensì da termine di paragone, per condurre un'analisi dettagliata e pervasiva del testo nella sua molteplicità, a livello del singolo termine o della resa di un'intera frase. Chi abbia una minima dimestichezza con un vocabolario di greco avrà ben presenti le numerose colonne che talvolta seguono la spiegazione di un lemma: la traduzione contrastiva permette proprio di verificare le potenzialità espressive di un termine e la traduzione più opportuna rispetto all'uso e alla destinazione della traduzione. Certo, molto spesso nemmeno questa pratica è sufficiente a spremere un testo, ma aiuta a sensibilizzare alla molteplicità della fonte e a rifiutare qualsiasi idea precostituita del testo e delle sue potenzialità. In questo modo si conferisce alla lingua e alla traduzione un carattere di inesauribilità e continua novità che non solo stimola il senso critico, ma rende obsoleta qualsiasi definizione di lingua morta.
La traduzione artistica. Molto in voga nelle stagioni dei classicismi e particolarmente nel Settecento, la traduzione metrica dei testi poetici, con adattamento della metrica quantitativa greco-latina a quella sillabica dell'italiano, è una delle scelte preponderanti per coloro che vogliono evitare la cosiddetta «strategia della scorrevolezza», cioè un eccessivo appiattimento del testo su un registro colloquiale, che è poi l'antitesi del monumentale e intoccabile traduttese. Nel corso dell'incontro Translation slam, Rodighiero e Condello hanno messo in luce il valore di tale scelta, da entrambi attuata nella traduzione dell'Antigone di Sofocle, come tentativo di restituire al testo poetico ciò che inevitabilmente si perde in qualsiasi traduzione, potenziando la solennità che deriva dal ricorso ponderato e consapevole alla metrica. Il caso di traduzione metrica più noto è quello degli endecasillabi sciolti di Vincenzo Monti che tutti abbiamo letto almeno una volta (se non imparato a memoria) come la traduzione del proemio dell'Iliade per eccellenza: dopo di lui ben pochi hanno osato ignorare quel «Cantami, o Diva, del Pelide Achille l'ira funesta» ecc. che risuona anche nella sostenuta versione di Rosa Calzecchi Onesti, oggi fra le più apprezzate.Più in generale, una traduzione artistica è quella che punta sulla pregevolezza estetica, anche a costo di tralasciare la fedeltà alle regole, variare le concordanze, modificare i legami fra le parole o riducendo gli elementi semanticamente poco rilevanti (ma magari essenziali per la strutturazione sintattica del testo originario). Chi si volge alla traduzione letteraria gode di un notevole margine di libertà, non è chiamato alla fedeltà che vincola il traduttore-filologo, anzi, si concede anche qualche infrazione e il diritto di ignorare richiami ad altre opere in forma di citazione, cosa che il filologo non potrebbe fare; ecco perché Quasimodo, traducendo l'Ode della gelosia di Saffo (fr. 31 Voigt), può permettersi di scrivere «Subito a me / il cuore si agita nel petto / solo che appena ti veda, e la voce // si perde sulla lingua inerte» in luogo della forma più aderente alla fonte «Questa visione veramente mi ha turbato il cuore nel petto: appena ti guardo un breve istante, nulla mi è più possibile dire, // ma la lingua mi si spezza» (trad. di Franco Ferrari). L'eleganza di Quasimodo è certo maggiore, ma lo studente abituato a cercare la corrispondenza interlineare sarebbe più a suo agio con Ferrari.
Da questa rassegna appare dunque quanto sia importante che il traduttore abbia ben chiaro il destinatario e la funzione del suo testo: se tradurrà Euripide per il teatro potrà enfatizzare l'espressività anche in considerazione dell'interazione fisica fra i personaggi e la gestualità, mentre potrà curare molto di più l'aspetto filologico chi si propone di offrire a un lettore non specialista un testo godibile nell'intimità di un salotto e senza troppi patetismi opprimenti e, ancora, dovrà essere molto cauto l'autore di una versione ad uso scolastico, in modo da offrire tutti gli strumenti per cogliere il testo nella sua conformazione morfo-sintattica e semantica e nel suo carattere artistico.
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