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Dall’altra parte

Creato il 19 agosto 2010 da Abattoir

E’ successo ancora una volta: un altro titolo straniero è stato tradotto male.
Non mi sono ancora ripresa dal duro colpo inflittomi dalla traduzione di Eternal sunshine of spotless mind in Se mi lasci ti cancello, titolo che trasforma un film molto bello e profondo nella tipica commediola americana di dubbio gusto, attirando forse una fascia più ampia di pubblico, e inimicandosi quelli che forse potrebbero apprezzare la poesia intrinseca di titolo e film. Il motivo per cui una tale decisione è stata presa è abbastanza ovvio: leggere sulla pagina dei film al cinema “L’eterno splendore della mente senza macchia”  avrebbe sicuramente fatto desistere alcuni potenziali spettatori, impauriti dall’altisonanza di un verso di Alexander Pope, poeta che viene citato anche all’interno del film, e che probabilmente sta ancora rivoltandosi nella tomba come una frittatina su una padella troppo calda. Hanno dunque deciso che “Se mi lasci, ti cancello” era più sbrigativo, pratico, commerciale, vendibile e rifletteva, addirittura, l’essenza del film: gente che si molla, e gente che dimentica. Fine.

Qualcuno, però, mi spieghi perchè questo principio di traduzione più che libera viene applicato anche a due grandi film di Fatih Akin (regista tedesco di origine turca), che escono in Italia coi titoli “La sposa turca” e “Ai confini del paradiso”, i cui titoli originali sono, rispettivamente, Gegen die Wand, ossia “Contro il muro”, e Auf der anderen Seite, ossia “Dall’altra parte”.

Gegen die Wand/Contro il muro è stato reso con “La sposa turca”. Effettivamente i protagonisti sono turchi emigrati in Germania, ed effettivamente si parla di un matrimonio, ma il senso del titolo originale è molto più profondo e sensato.

I due protagonisti, infatti, si incontrano in una struttura ospedaliera, dopo un tentativo di suicidio: lei ha provato a suicidarsi tagliandosi le vene, lui ha ammaccato l’acceleratore della sua auto fino a schiantarsi contro un muro, in una sequenza di geniale accostamento musica-immagini, in cui i Depeche Mode cantano I feel you, mentre i trattini della linea bianca sulla strada vengono illuminati dagli abbaglianti, creando un’intermittenza che troppo bene si sposa con la musica.
La sequenza madre del film (l’auto a tutta velocità, i trattini ritmati della strada, la musica, e lo schianto), che è poi l’origine di tutta la storia, viene, in questo caso, totalmente annullata da un titolo, quello italiano, che invece mette al centro di tutto, ancora una volta, una sintesi sgangherata della storia: lei è turca, lei si sposa.

La vera storia, invece, è quella di due persone che si trovano per caso, per un caso tragico, e che in questa casualità vedono un barlume di speranza. Lui, annichilito da un’esistenza apatica e totalmente priva di stimoli, raccoglitore di bottiglie vuote, gran bevitore, col cuore spezzato dalla morte della donna amata, col pugno facile, e un faccino poco raccomandabile, dopo lo schianto incontra lei, ragazzina-quasi-donna dalla spiccata vitalità, bramosa di libertà, trattenuta dai vincoli di una cultura che le impedisce di essere una donna al di fuori di un matrimonio, oppressa dalle figure maschili della famiglia, repressa da regole che soffocano la sua natura ribelle, e per liberarsi decide di chiedere a lui di sposarla, in un finto matrimonio che li obbligherà soltanto a vivere sotto lo stesso tetto, senza alcun tipo di vincolo.
La trama si evolve in risvolti imprevedibili, o forse prevedibili, e comunque tragici e appassionati. Non posso svelarvi altro, ma soltanto una piccola postilla. La canzone dei Depeche Mode, e la sequenza musica-immagini torna ancora, perchè lo schianto contro il muro non è soltanto fisico, ma anche esistenziale. Nel corso della storia, come nel corso dell’esistenza, alcune persone sono destinate a schiantarsi contro un muro, sia volontariamente, sia per forza di cose. Ed è questo che narra il film, lo schianto, la perdita, l’autodistruzione di chi, pur avendoci provato, non ce la fa, ed è un concetto universale, non tedesco, non turco, umano, espresso alla perfezione dal titolo originale, e non dalla sua versione italiana.

Link al video della scena in questione.

Andiamo al secondo film. Il titolo originale significa “Dall’altra parte”, quello tradotto è “Ai confini del paradiso”. La storia narra le vicende intrecciate di sei personaggi, tre coppie di genitore-figlio, che si collegano tramite rapporti d’amore o di morte. Tutto inizia dalla decisione di Ali, un uomo anziano di origine turca, emigrato a Brema, di prendere in casa sua una prostituta turca, Yeter, nonostante il disappunto del figlio, un giovane professore di letteratura tedesca.
In un accesso d’ira Ali uccide involontariamente Yeter, e viene incarcerato. Nejat, suo figlio, decide di andare in Turchia a cercare la figlia di Yeter per pagarle gli studi, ignaro del fatto che nel frattempo la ragazza, appartenente a un nucleo politico di resistenza, è scappata in Germania alla ricerca della madre, ricerca vana, che la porterà a conoscere una studentessa tedesca che diventerà la sua compagna.Le vicende si evolvono, e si intrecciano, con modalità quasi geometriche, forzate a detta di alcuni, affascinanti secondo me, ma qui mi fermo, e vi invito a guardare il film per conoscerne il seguito.

A questo punto, il senso del titolo può risultare più chiaro: dall’altra parte…di un immaginario asse di simmetria, che divide Turchia e Germania, Occidente e Oriente, o genitori e figli, o colpevoli e vittime; dall’altra parte della bilancia, dall’altra parte della medaglia, dall’altra parte dello specchio, potremmo dire, citando Carroll. In tutti i casi la simmetria, complicata, speculare, incompleta, domina i destini, gli eventi, le personalità dei protagonisti, come se alla fine di tutto si dovesse fare un bilancio, come se per un morto da questa parte, ce ne debba essere per forza uno dall’altra, come se per una personalità timida, chiusa, intimista, e silenziosa, ce ne sia una estroversa, attiva, ribelle, che le faccia da contrappeso, e non solo al di fuori, ma dentro la stessa persona! Come se per ogni colpa ci sia comunque una punizione, un pentimento, e in qualche modo, un perdono.
Il paradiso della versione italiana, però, non esiste, perchè l’altra parte è comunque terrena, umana, miserabile, materiale, e colpevole. L’altra parte non è il paradiso, non è nemmeno i confini del paradiso, che, secondo alcune interpretazioni, dovrebbe essere l’Occidente, l’Unione Europea, rispetto alla Turchia (e a questo proposito mi chiedo se chi formula queste ipotesi viva davvero nell’Unione Europea). Dall’altra parte è semplicemente un modo per dire che tutto si paga, e tutto si perdona, ma qui, ora, a costi altissimi, sentimentali, appassionati, dolorosi, e dunque decisamente umani.


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