Sarà che non riesco più a trovare il modo di affrontare un tema alla volta, sarà che gli avvenimenti corrono e si accavallano, sarà, anche, che ho voglia di avere la visione dell’Italia che verrà. Lo voglio subito. Adesso. Non ne posso più. La mia pazienza è al limite massimo e non è l’età. Non ho un orologio biologico-politico che mi bussa. E’ l’urgenza del tempo, la voce del Paese, il risultato delle urne, l’urlo del quorum.
Sabato ho vissuto l’Europride come ogni Pride. In mezzo alla gente. Nessuno mi priverà mai del mio calpestare le strade per bermi le facce e mangiarmi i sorrisi della nostra comunità. Mi riprendo. Tutti festeggiano ed io mi placo. Mi mimetizzo. Mi nascondo. Osservo. Mi innamoro. Orsi. Gay. Lesbiche. Trans. Etero. Bisessuali agguerriti e incompresi. Bandiere. Carri. Partiti che ci sono troppo e non si vedono per niente. Partiti che non ci sono per niente e si vedono troppo. Polemiche. E figli di gay. E genitori di gay. Finchè il corteo non arriva a Circo Massimo.
Non mi lamento delle due ore di musica tutz tutz e riconosco che non è da me. Ma mi fido del Comitato. E’ raro, lo confesso. Ma da lontano e con affetto ho osservato il Mieli ed Agedo e ArciGay Nazionale e Famiglie Arcobaleno e il MIT farsi corpo contro tutti e tutto e portare a casa un risultato enorme. Ogni giorno da mesi ricevevo lo scambio tra i volontari. Le loro iniziative. Si toccavano. Esistevano.
Questo Europride ha una cosa in comune con i referendum e nessun giornalista (ormai ci rinuncio alla vostra professionalità narrante) se ne è accorto. E’ figlio di padri poco vanitosi. Poco visibili. Padri operai, mettiamola così. Ma forte della “sostanza” è diventato un momento storico.
Lady Gaga sul palco (checché ne dicano gli snob) ha fatto un discorso degno e composto. Presindenziale. Non a caso la sua presenza è stata fortemente sponsorizzata (un segnale inascoltato, caro Obama, in ogni caso: grazie) dalla Casa Bianca in una forma di “sbarco” americano sulle sponde prive di diritti del nostro Bel Paese.
Per chiudere le ultime polemiche: ha voluto parlare per prima. In ogni caso la sua presenza è stata forte e nello stesso tempo pregna. Come dice Rita De Santis, la mamma di Agedo: “Dove erano in quel momento i nostri guru; Le Nannini, i Lucio Dalla, i Vecchioni e il resto…nascosti perché mamma antenna partorita dalle volontà vaticane non avrebbe firmato loro mai più un contratto! Ha avuto molto più coraggio Iva Zanicchi quando il suo capo Berlusconi gli ha imposto di lasciare l’infedele a restare nella trasmissione e allora?”
Un Europride stretto a sandwich.
Da una parte una tornata amministrativa che ha incoronato sindaci totalmente gay friendly o costretti a diventarlo (il caso di Fassino). Vedasi alla voce Pisapia che patrocina il Gay Pride di Milano. E non mi spreco più a spiegare che Alemanno e Polverini con i loro sorrisini e saluti restano i nostri peggiori nemici che nessuna associazione LGBT seria può difendere. Chi lo fa è in mala fede. Si dica chiaro. E punto.
Dall’altra il referendum su cui ancora fino al giorno prima nessuno di noi avrebbe scommesso, abituati come siamo a non fidarci del Paese.
Lunedì 13 giugno il Paese si è svegliato alle 15 e si è ritrovato più di sinistra, più gayfriendly (o per lo meno indifferente) e più consapevole. Meno manovrabile. E persino meno leggibile dai consueti soloni, D’Alema per primo.
Ieri, martedì 14 giugno ho acceso la TV. Ho visto la faccia di D’Alema alla TV e ho dovuto guardare il calendario in cucina perché mi sembrava di essere nel 1996. Non una parola sull’Europride. Non una parola su quanto gli USA e la comunità LGBT italiana si sono detti tra loro, in totale assenza del proprio Paese, al Circo Massimo. Non segretamente. Ma in un luogo simbolo alle cui spalle sorge il Cupolone. Una prateria sconfinata piena di famiglie gay con bambini.
Per quanto ancora volete ignorarci?
Fare una trasmissione il 14 giugno e non toccare quell’argomento è da folli. O si è in malafede. E per ora mi autocensuro.
Questa sera invece un cambio di scena. Sono ad una cena di gala, per lavoro. Una villa bellissima a pochi metri da Arcore. Accanto a me imprenditori brianzoli. Li intervisto, vado a fondo. Chiedo. A parte il racconto di come un loro cliente napoletano ha pagato (a loro insaputa) 50€ per aiutarli a risolvere una pratica con il corpo dei vigili urbani di Napoli che fino all’unzione non avevano nessuna voglia di risolverla, mi colpisce il loro racconto del tramonto berlusconiano, cioè di una cosa che li riguarda, che è qui, che fa parte di loro e dei posti di lavoro di Mediaset e Publitalia su cui è cresciuta un’intera generazione. La politica del fare che non ha fatto. Che ha fallito. Mi raccontano che il Canton Ticino porta imprenditori a fare visite guidate ed offre incentivi per aprire aziende. Non c’è disoccupazione. Ma potrebbe esserci un giorno e quindi si corre ai ripari (prima). Mi ricordano i tempi per avere autorizzazioni (in Italia), cosa bisogna ungere. Che al sud è impossibile aprire qualsiasi attività. Il costo del lavoro. Il fatto che la politica disonesta è anche risolvere il tuo problema e chiedere qualcosa in cambio invece di costruire un processo virtuoso e renderlo accessibile a tutti. Tutte cose che so e che oggi, finalmente, sanno anche loro. Gli chiedo a bruciapelo: chi votereste allora se Berlusconi è finito? Nessuno tra Bersani, Vendola e Casini. Chiedo…Renzi lo votereste? Gli piace ma ancora non sono convinti.
Allora mi gioco la mia carta segreta. E domando. Chiamparino lo votereste? Si illuminano. E dicono di sì. E sanno bene che è un uomo di sinistra. E non gli importa che sposa le lesbiche. Di Chiamparino si fidano.
Mi chiedo se l’Italia non debba ripartire dal Piemonte e da Torino. La città da cui l’Italia pur nel dominio sabaudo è cominciata. La città che più di ogni altra ha festeggiato l’Unità e che quel concetto ce lo ha nel DNA.
Ti chiedo, Chiampa, se non vogliamo provare a mettere insieme tutto…non una cosa alla volta, ma tutto e ridare speranza a tutti. Non a pochi. Alle aziende. Ai lavoratori. Ai giovani del sud che non si sognano nemmeno di aprire un’impresa tra mafia e stato assente. Alle donne. Ai bambini. Ai gay. Mi chiedo se tu, anche se sei vecchio e maschio (non esattamente il mio target del futuro, ma la meritocrazia va applicata, per Diana!) non possa essere l’uomo che ci porta fuori da questo schifo. Lo schifo berlusconiano, ma anche lo schifo della spocchia dalemiana (freddino sui referendum, avversario acerrimo delle primarie, lontano dai Pride).
Mi chiedo stanotte, dal profondo nord “che laùra” se non ci meritiamo uno strappo adesso. Un’ammissione. Una svolta. Ma che sia davvero rivoluzionaria e che non sia necessariamente incarnata in un giovane nuovo e quindi cavalchi il desiderio di ricambio e magari anche vinca sull’onda.
Mi chiedo se non possiamo pescare dalle nostre buone pratiche. Cioè mi domando se i perdenti possono farsi da parte e possono lasciare posto ai vincenti senza distruggerli. Ora. Adesso. Ora che Grillo che incarna l’antipolitica ha preso una mazzata. Ora che i nomi imposti dal PD tranne rari casi vengono rispediti al mittente. Ora che il Terzo Polo si è svuotato del suo ago della bilancia.
Insomma. Non è ora il momento di prendere tutto il buono che c’è dai 18 ai 60, tra le donne e gli uomini di tutto il centro sinistra?
Se non ora. Quando?
Filed under: ALEMANNO, BERLUSCONI, Chiamparino, D'ALEMA, GAYPRIDE, IMPOLITICO
COMMENTI (1)
Inviato il 16 giugno a 11:09
e quale "sarebbe" la mazzata che ha preso Grillo?
Ma questo è un articolo o cosa? Io dico che è spazzatura.