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Dall’ISIS al caso Foley, sullo smarrimento dell’Occidente…

Creato il 23 agosto 2014 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
640px-BritsLookingOnBaghdad1941di Michele Marsonet. Seguendo i commenti che i media sfornano a pieno ritmo dopo l’avanzata dell’ISIS in Iraq e Siria e la barbara decapitazione del reporter americano James Foley, si ricava una sconfortante impressione di debolezza e divisione. Nel nostro Paese, in particolare, appaiono crepe profonde che lasciano intendere come molti, tutto sommato, provino per i miliziani jihadisti una comprensione che sconfina addirittura nella simpatia. Questo mentre, nello stesso mondo islamico, si levano di quando in quando voci dissidenti che ammoniscono a non sottovalutare il pericolo immane del fondamentalismo. Qui di seguito due esempi.

In un articolo uscito su “Il Fatto Quotidiano” e intitolato “In questa guerra degli orrori io scelgo quelli dell’Isis”, il giornalista e scrittore Massimo Fini fornisce una sorprendente ricostruzione della nascita del terrorismo islamico. A suo avviso esso è un prodotto dell’Occidente. Quando hai di fronte un nemico invisibile che ti bombarda con robot teleguidati e con caccia – questa la tesi di Fini – quali opzioni restano se non il terrorismo? Cose del resto già dette dal deputato grillino Di Battista.

Prendiamo quale caso paradigmatico l’Afghanistan. Fini ci fa notare che gli afghani storicamente non sono terroristi bensì guerriglieri, e racconta che nel 2006 si svolse una riunione tra i capi talebani e il mullah Omar. I comandanti gli fecero sapere di non poterne più dei bombardamenti che li stavano mettendo sempre più in difficoltà, chiedendo pertanto il permesso di utilizzare il terrorismo. Il suddetto mullah – il quale, com’è noto, è un pacifista gandhiano – si dimostrò assai riluttante: la proposta non gli piaceva affatto. Tuttavia “alla fine dovette cedere di fronte all’evidenza, e nacque così il terrorismo interno afghano”.

Vien da sorridere leggendo questa ricostruzione, ma il giornalista è invece serissimo. Meglio il guerrigliero terrorista che rischia personalmente la pelle del pilota che telecomanda il drone da grande distanza e, dopo aver finito la sua strage, se ne torna a casa dove la moglie (americana) gli ha preparato una bella cenetta. Inoltre non bisognava secondo Fini attaccare le Corti islamiche in Somalia perché avevano riportato l’ordine in quel tormentato Paese. In conclusione, se il terrorismo islamico è nato è colpa nostra e solo nostra: “anche un musulmano moderato a forza di sentirsi incalzato dall’Occidente diventa un estremista”.

Di tutt’altro tenore l’articolo “L’ISIS è dentro di noi” scritto da Elham Manea, una docente svizzero-yemenita che insegna nella Facoltà di Scienze politiche all’Università di Zurigo. L’ISIS – sostiene l’autrice – non è nato per caso. Pur condannato da molti musulmani, è in realtà il prodotto di “un discorso religioso islamico che ha dominato la nostra sfera pubblica negli ultimi decenni, un discorso che potremmo definire mainstream. Non è un prodotto dell’Occidente infedele o dell’Oriente che fu. Ha studiato nelle nostre scuole, pregato nelle nostre moschee, utilizzato i nostri media”.

Dunque la sua copertura ideologica è ben radicata nel tempo, e va addebitata a figure religiose che vanno ogni giorno in TV predicando l’odio contro gli infedeli, negando che i cittadini possano liberamente scegliere una religione qualsiasi (o anche nessuna), e sostenendo che le donne non hanno diritti pari a quelli degli uomini. Ne consegue che, senza il riconoscimento delle proprie responsabilità, il mondo islamico è destinato ad andare avanti così, con i predicatori che continueranno a spargere il messaggio d’intolleranza verso tutti gli “altri”.
Si dirà che Elham Manea può esprimersi in quel modo perché vive e insegna in Svizzera, ma non è del tutto vero. In realtà il suo scritto è basato su un precedente articolo di Saad bin Tafla al Ajami, ex ministro dell’informazione del Kuwait, nel quale venivano ribaditi gli stessi concetti. E recentemente l’attivista palestinese dei diritti umani Bassem Eid ha pubblicato un pezzo intitolato “Noi palestinesi dobbiamo sbarazzarci di Hamas”, in cui afferma che il lancio di razzi su Israele non era gradito da gran parte dei civili di Gaza giacché i risultati per la popolazione si potevano prevedere con certezza.

Voci ancora piuttosto isolate, certo. Esse tuttavia dimostrano come nel mondo islamico esista la consapevolezza che il terrorismo e la predicazione dell’odio verso gli “infedeli” non portano da nessuna parte. Si noti la differenza rispetto alle affermazioni di Massimo Fini e dei tanti che in Occidente la pensano come lui.

Featured image, British troops in Baghdad, June 1941.


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