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Dall’ozio al negozio: Back to School Blues

Creato il 09 agosto 2014 da Insonniamarina

Per chi è cresciuto in Liguria l’estate tradizionalmente è un periodo di bagni, di spiaggia, di sole e di spensieratezza. Non è così quest’anno, ma questo lo so dalle testimonianze di chi sulla spiaggia c’è stato o almeno ha tentato di arrivarci sfidando nuvoloni e temporali. E’ un’estate anomala un po’ per tutti, per alcuni solo sotto il profilo meterologico, per altri anche dal punto di vista psicologico.

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Si attende l’estate come il sogno del prigioniero, come la luce che illumina il triste passaggio per l’infinito tunnel invernale, quando le ore di luce si contraggono e prevale l’oscurità. Giunge agosto, il mese delle ferie per antonomasia, ma giunge anche la consapevolezza che da qualche tempo a questa parte ci stiamo incamminando di nuovo verso quel tunnel. Basta gettare un’occhiata anche distratta al calendario per rendersi conto che questa breve parentesi luminosa è destinata a spegnersi e lasciare il passo al grigiore dell’autunno che a queste latitudini dura ben oltre i tre mesi regolamentari.

Tramonto

Ogni anno vivo con apprensione la fine dell’estate, una fine che non sarà accompagnata dal vento settembrino che spazza le nostre coste e regala giornate terse, mare piatto, orizzonti lunghi che invitano alla rêverie, ma da un’incalzante campagna pubblicitaria: il famigerato Back to School Shopping, un rito di passaggio a cui si dedicano solerti madri e casalinghe più o meno desperate. Prima ancora che gli eventi atmosferici annuncino la fine del riposo estivo, la macchina pubblicitaria, con i suoi ritmi frenetici, inizia ad incalzare, a ricordarci che è giunta l’ora di programmare lo shopping per giungere preparati al primo giorno di scuola.

Back to school shopping
L’estate, non la stagione di per sè, ma il tempo concesso dal calendario scolastico, volge al termine. I negozi si riempiono di articoli di cancelleria e offerte speciali: quaderni, fogli a righe, matite, gomme, astucci e zaini. Le cartelle non ci sono più, nemmeno in Italia. I diari, unica consolazione del ritorno alla routine scolastica, qui non esistono. Il rito di fine agosto della scelta del diario, quel rito che si ripresentava ogni anno alle prime burrasche di agosto, i miei figli non lo conoscono. La scuola fa stampare un diario uniformato con le date del calendario scolastico e informazioni varie. Lo si acquista la prima settimana di scuola. E’ impersonale, cerca di attrarre l’attenzione dei ragazzi, ammiccare, farsi il simpatico, ma da quel che ho potuto constatare non se lo fila nessuno. Tra quel “School Planner” e l’alunno non si instaura quel clima di affetto, di amicizia che rallegrava i nostri anni scolastici.

School planner

Per noi il diario era come la copertina di Linus, ci accoglieva nelle sue pagine quando le spiegazioni di latino, di greco o di filosfia diventavano insopportabili. Ci proteggeva dalla noia di ore che sembravano espandersi all’infinito. Era uno spazio di libertà e di creatività che i ragazzi canadesi e americani non conoscono perché questi popoli ai quali la “libertà” sembra così cara, amano la conformità in tutto ciò che riguarda l’ambito educativo. E così tutti con gli stessi quaderni con la copertina identica, tutti con le stesse matite da disegno giallognole, tutti con le stesse gomme, o bianche o rosa, con gli stessi astucci: scatole di plastica rettangolari pensate per durare poco più di un anno. E poi cartelline in colori standard, tutte numerate secondo il dictat della maestra che indica sulla lista delle “School Supply” quanti e di che tipo acquistare. Si fa lo spesone prima dell’inizio dell’anno scolastico e si porta tutto il materiale in massa la seconda settimana di scuola.

back to school nightmare

 Ai primi di agosto la macchina consumistica si mette in moto: giungono notizie di offerte speciali quasi ogni giorno. Non ci si può sottrarre al bombardamento pubblicitario, non ci si può esimere dal dovere. Sembra che si tratti di un rite of passage prettamente femminile. Negli anni non ho mai incontrato un padre smarrito tra gli scaffali di un ipermercato in cerca di quaderni di terza elementari o di cartelline con due tasche. Sono di solito le madri che, una volta ripassate le equivalenze tra pollici e centimetri, si mettono in moto per far manbassa di quadernini di forme e dimensioni diverse. La schizofrenia canadese esige che pollici e centimetri coesistano in un regime caotico nel quale solo chi è cresciuto a cavallo tra i due sistemi riesce a raccapezzarsi. Le più sprovvedute, come la sottoscritta, ricorre a stratagemmi creativi: prende in prestito un righello e con precisione millimetrica si assicura di acquistare gli oggetti richiesti, persino le cosiddette “play money” che, in vista dell’inizio del kindergarten di mia figlia, cercai in ben tre supermercati. La lista richiedeva, cito testualmente, “$10 play money”. Io, ancora ligia al dovere — perché si trattava della prima volta che mi cimentavo con questo nuovo rito consumistico — avevo preso alla lettera la richiesta della maestra e, amante della matematica e dei principi più elementari dell’economia, avevo finalmente trovato i soldi di carta e le monete di plastica, convinta che la maestra intendesse usarle per insegnare addizioni e sottrazioni. Come al solito la fantasia applicata all’esegesi della School Supply List è stata fuorviante. L’insegnante richiedeva una banalissima banconota da $10 con la quale acquistare l’occorrente per rendere più piacevoli le ore scolastiche.

Sarà forse perché sono cresciuta a Zena che credevo che nelle elementari in un paese capitalista come gli USA gli insegnassero a contare i soldi. Insomma se Paperon de Paperonis si dilettava a contare le sue monete lucenti, a ricordare il primo dollaro nel Klondike, perché gli studenti del paese a stelle e a strisce non dovevano fare altrettanto con soldi finti, in attesa di trasformarsi in maghi dell’economia?

Niente da fare, avrei dovuto ricordare le lezioni di Eco e rendermi conto che la mia “enciclopedia” italiana all’estero può far cilecca. I miei riferimenti culturali, la finta America di Topolino, le mie aspettative riguardo alla scuola, si sono dimostrate spesso fuorvianti. L’America che abbiamo conosciuto attraverso i fumetti è un’invenzione, creata ad uso e consumo dei lettori italiani. Altra lezione culturale: concretezza, razionalità e interpretazione letterale, così si “leggono” i paesi anglosassoni.

Ma torniamo alle insidie del Back to School Shopping! Si tratta di un rito nel quale le madri del nuovo millennio danno prova delle loro capacità organizzative. “Qui si parrà la tua nobilitate” mi sembrava d

Calm glue
i ascoltare mentre mi destreggiavo tra montagne di carta e di plastica. L’insicurezza delle donne, desiderose di manifestare la loro devozione ai figli e alle istituzioni, è ampliamente sfruttata dal sistema neoliberale. Ed ecco che anche le più recalcitranti si sottomettono al rito dello shopping. Non sia mai che le maestre le denuncino ai servizi sociali per negligenza! Le più solerti iniziano già a fare incetta di colla, cartelline e Vinavil, chissà che non vengano utili, una volta tornate nelle casette dei sobborghi…


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