“La gente esige la libertà di parola per compensare la libertà di pensiero, che invece rifugge.”
(Søren Aabye Kierkegaard)
La nostra è l’epoca dell’apparire, perché l’essere è finito a far marchette. La maggior parte della gente non cela pensiero alcuno dietro alla volontà di esprimere la propria opinione. Il pericolo però si annida dietro l’angolo, proprio in quelle teste che non trovano spazio nel mondo per comunicare con gli altri. C’è un solo luogo in cui le persone hanno finalmente trovato il modo, il tempo e la forza necessaria per render noto quello su cui desidera disquisire: il web. Attraverso la rivoluzione di internet, portata avanti in primis da blog e social - network è oggi possibile COMUNICARE davvero con l’altro. Ma il web non è solo questo, è anche e soprattutto portatore di CONOSCENZA, un tipo di sapere che però non può essere controllato né manipolato, quindi scomodo. C’è solo una cura a questo tipo di infezione dilagante: la censura.
La censura è, infatti, lo strumento di cui si serve, oggi come ieri, lo Stato per limitare i danni provocati dalle povere mosche bianche. La paura non è che la gente non riesca a riconoscere la verità, ma che possa porsi delle domande prima, per darsi delle risposte poi.
Dal 6 luglio l’Autorità della Comunicazione avrà il diritto di oscurare siti senza passare attraverso un regolare processo. I siti che verrano oscurati saranno principalmente quelli accusati di pirateria, cioè colpevoli di non aver rispettato il copyright. Dove voglio andare a parare? E’ presto detto: il web in Italia, viene utilizzato come strumento di denuncia sociale, soprattutto da un punto di vista politico. Negli Stati Uniti, così come in Francia, in Olanda e in tutte le Nazioni democratiche qualora ci fossero motivi per parlare della condotta di membri del governo, i giornali sarebbero i primi ad alzare un polverone, a gridare allo scandalo. Purtroppo per la coscienza italiana, qui da noi non è così: i media sono asserviti al potere e manovrano abilmente tutta l’ondata di notizie per distrarre l’attenzione della popolazione e spostarla su temi meno sgradevoli. Qui da noi, diciamoci la verità, le questioni davvero importanti sono ampiamente evitate dai mezzi di comunicazione di massa tradizionali. Quindi sono strumenti che mirano a fuorviare la visione della realtà della massa, appunto.
Perchè il 6 luglio? Del decreto Romani se ne parla da mesi, eppure sulla questione c’è stata una recente accelerazione per porre fine alla libertà del web. Perché tanta fretta? Come già denunciato da molte associazioni che tutelano il diritto del web di essere libero, il clima politico è ormai rovente, attualmente il governo naviga in acque agitate, l’unica soluzione è mettere questo tipo di pezza a colori, per sedare la popolazione togliendo il luogo di confronto maggiormente utilizzato. A questo si aggiunge anche che i maggiori beneficiari di tale decreto sarebbero proprio Mediaset e compagnia bella.
Il decreto Romani recita così: “Il titolare dei diritti di copyright può chiedere al gestore di un sito la rimozione di contenuti che violino la sua persona. Il gestore avrà quindi 48 ore di tempo per procedere alla suddetta rimozione. Se il gestore non provvede entro il tempo stabilito, il titolare dei diritti potrà rivolgersi all’AGCOM che, in 5 giorni, verificherà la violazione e intimerà la rimozione dei contenuti incriminati.”
Ma siamo sicuri che in cinque giorni AGCOM avrà il tempo necessario per controllare accuratamente il contenuto di ogni sito segnalato dal titolare in questione?
Naturalmente se il gestore non provvederà neanche in questo caso, il sito verrà immediatamente oscurato.
Ormai l’Italia ha raggiunto livelli di oppressione incredibili, ma il problema è sempre lo stesso: nessuno sembra disposto a fare realmente qualcosa. E allora permettetemi di dirlo: è vero che a noi l’Italia piace così com’è, almeno finchè possiamo mangiare, bere e andare a marchette