Con moltissimo scetticismo avevo comprato due biglietti per una delle serate romane del nuovo tour Dalla-DeGregori, 2010 Work in Progress, a 31 anni di distanza dal primo, il Banana Republic. Lo scetticismo era d’uopo: rischiavo di andare a vedere De Gregori alla flebo e Dalla al pitale. E invece, il vecchio duo ha fatto la sua porca parte. Intendiamoci: non è il miglior concerto mai visto, anche perché non hanno praticamente voluto servirsi di un supporto visivo e scenografico degno di questo nome. Niente immagini proiettate sul retro del palco, o per lo meno una scelta minima, troppo minimal, che non ha tolto la voglia di vedere oltre.
E però i due cantautori hanno offerto un buon panierino di canzoni, soprattutto quelle storiche. De Gregori non ha mai stonato, e questa è in sé una notizia, né ha mai cambiato le parole dei suoi testi. Ha perfino chiesto al pubblico (un Gran Teatro Nord gremito, probabilmente 6.000 spettatori nella quinta serata romana) di cantare tutti in coro le parole di Rimmel, unica canzone per la quale è stato proiettato il testo alle spalle del palco, a mo’ di karaoke. In realtà, non è che ce ne fosse bisogno. L’inizio è stato da brivido, con Tutta la vita e Anna e Marco. Mentre De Gregori ha dato l’impressione di voler offrire il meglio delle sue canzoni, Dalla ha preferito una scelta più low profile, introducendo pezzi di non grande successo, come l’abbastanza banale Henna. In questo modo, De Gregori ha avuto gioco facile nel risaltare sul collega, e questo nonostante i due, da bravi amici, si siano divisi le canzoni pressoché a metà, facendo quasi sempre cantare all’uno le hit dell’altro, tranne che per Caruso, offerta credo in risposta a Rimmel. Il Gran Teatro Nord, ironia dei nomi, ha avuto un moto di unione soprattutto su Viva l’Italia e in particolare sulla strofa “Viva l’Italia / l’Italia tutta intera” che ha predominato sulle altre strofe famose, per esempio “l’Italia che resiste”. Segno dei tempi, di certo, e a me ha fatto un certo effetto, non tanto perché m’aspettavo chissà quale emozione collettiva per le strofe che funzionavano negli anni Settanta (anzi, davo per scontato che non ci fossero particolari sottolineature), quanto perché non m’aspettavo il moto patriottico. Pareva d’essere in un teatro romano del 1871, devo dire è stata una bella emozione. Calda l’accoglienza anche delle canzoni più romane, come La sera dei miracoli. Dalla ha parlato contro la guerra, ripetendo le solite cose retoriche che lasciano il tempo che trovano (definire la guerra come un pus dell’uomo) e nessuno ha applaudito. M’è parso anche questo un segno dei tempi: un dire, “sì, la guerra è un pus, ma poi alla fine tocca farla e sappiamo perché siamo in guerra”. Qualche grido di approvazione quando Dalla ha introdotto la versione di Gigolò scritta da Dalla e De Gregori, che pare sia una canzone del 1929 scritta da un cantautore di crociera, e poi riparolizzata da questo mondo e quell’altro. E tutti hanno pensato a Lui. L’egemonia culturale del berlusconismo la vedi anche da questi piccoli dettagli, il Sultano è presente nell’immaginario collettivo in ogni momento, anche quando non si parla di politica ma di musica, e si cita una professione secondaria degli inizi della sua carriera.
Venendo sul personale, oltre al brivido su Viva l’Italia (ma mi si colpiva facile: da migrante in Canada, ho colto le decine di passaggi sull’America come immaginario e come meta, come speranza e come sogno), e al gran piacere di ascoltare Anna e Marco, ne ho avuto un altro su Rimmel. Probabilmente perché anche nel mio caso, questa canzone sembra scritta apposta verso la mia ex più importante. Per cui, ve la beccate qui sotto.
E qualcosa rimane, fra le pagine chiare,
fra le pagine scure,
e cancello il tuo nome dalla mia facciata
e confondo i miei alibi e le tue ragioni,
i miei alibi e le tue ragioni.
Chi mi ha fatto le carte mi ha chiamato vincente
ma lo zingaro è un trucco.
Ma un futuro invadente, fossi stato un pò più giovane,
l’avrei distrutto con la fantasia,
l’avrei stracciato con la fantasia.
Ora le tue labbra puoi spedirle a un indirizzo nuovo
e la mia faccia sovrapporla
a quella di chissà chi altro.
I tuoi quattro assi, bada bene, di un colore solo,
li puoi nascondere o giocare come vuoi
o farli rimanere buoni amici come noi.
Santa voglia di vivere e dolce Venere di Rimmel.
Come quando fuori pioveva e tu mi domandavi
se per caso avevi ancora quella foto
in cui tu sorridevi e non guardavi.
Ed il vento passava sul tuo collo di pelliccia
e sulla tua persona e quando io,
senza capire, ho detto sì.
Hai detto “E’ tutto quel che hai di me”.
È tutto quel che ho di te.
Ora le tue labbra puoi spedirle a un indirizzo nuovo
e la mia faccia sovrapporla
a quella di chissà chi altro.
I tuoi quattro assi, bada bene, di un colore solo,
li puoi nascondere o giocare come vuoi
o farli rimanere buoni amici come noi.
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