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Parlare di letteratura in riferimento all’atto del camminare, indagare le connessioni che hanno legato e legano il movimento del corpo nello spazio alla scrittura, non può prescindere da una seppur breve analisi della “storia del camminare”. Più o meno fino alla Rivoluzione Industriale camminare rimane azione legata quasi esclusivamente dalla dimensione della necessità: si compiono lunghi tragitti a piedi, a volte viaggi veri e propri, ci si sposta ogni giorno per andare al lavoro. A un progressivo cambiamento del rapporto tra uomo e camminare si assiste, dunque, in seguito alle profonde trasformazioni a cui l’economia, la società e, soprattutto, le città saranno sottoposte in seguito alla crescita tecnologica ed economica. La crescente disponibilità di risorse, la diffusione di mezzi di trasporto meccanici e l’espansione rapidissima dei tessuti urbani sono gli elementi che rivoluzionano tale rapporto, lo ridisegnano ponendolo al centro dell’attenzione.
Non a caso, proprio in una città che, a causa della sua crescita vertiginosa, ha raggiunto un elevato grado di complessità e di “estraneità” per il suo abitante nasce la figura del flâneur, il modello per eccellenza di “esploratore” del labirinto urbano, che si affida al camminare per percorrere la città abbandonandosi senza controllo alla complessità della rete stradale, un’inesplorata foresta ai cui alberi si sono sostituiti palazzi, monumenti, edifici pubblici, in cui scorre un elemento ancora nuovo: la folla. In questo nuovo ambiente si muove Charles Baudelaire di cui Walter Benjamin scrive:
Nessuno si è mai sentito tanto poco a casa propria a Parigi quanto Baudelaire (*).
Si può dire che lo Spleen di Baudelaire rappresenti lo spartiacque a partire dal quale letteratura e poesia hanno incominciato a interrogarsi sul rapporto tra individuo (una volta per sempre cittadino) e spazio urbano. Le coordinate all’interno del quale l’individuo è inserito sono profondamente cambiate, com’è cambiato lo stesso paesaggio, e con essi percezioni, abitudini, necessità, paure. Nei versi di Baudelaire prende forma una “grande città che non conosce alcun vero crepuscolo della sera: l’illuminazione artificiale gli sottrae il suo lento trapassare nella notte”(**). Una città trasformata agli occhi del poeta dalla produzione di massa, che si estende in nuovi smisurati quartieri, sempre più inafferrabile, caotica, fuori misura. Ma Baudelaire, con la sua opera poetica che è anche nuovo manifesto del vivere lo spazio urbano, in questo caso rappresenta una premessa a ciò che sarà dopo.
Siamo sempre a Parigi, il 24 aprile del 1921. I dadaisti Jean Crotti, Georges D’Esparbès, André Breton, Georges Rigaud, Paul Èluard, Georges Ribemont Dessaignes, Benjamin Péret, Théodore Fraenkel, Louis Aragon, Tristan Tzara e Philippe Soupault si danno appuntamento alla chiesa di Saint Julien le Pauvre per la prima escursione nella città “banale”, ordinaria. L’esplorazione di alcuni luoghi cittadini per Dada costituisce la possibilità di riconnettere arte e vita, spazio e creazione letteraria in un’unica azione. In questo senso è fatta salva l’eredità originaria del flâneur e della flânerie, che in questo modo assurge a operazione estetica, “trasformando” lo spazio urbano in qualcosa da rielaborare ospitando letture, azioni improvvisate, coinvolgimento dei passanti, distribuzione di doni e di racconti. Dada legge lo spazio urbano, e il a”banale” contenuto in esso, come luogo della freudiana ricerca dell’inconscio cittadino.
Nel 1924, ancora a Parigi, Breton, Vitrac, Morise e Argon organizzano una Deambulazione in aperta campagna. Partono in treno e raggiungono Blois, poi si incamminano a piedi fino a Romorantin. Breton racconterà questa deambulazione negli Entretiens, descrivendola come occasione di prolungate conversazioni in assenza di ogni scopo concreto che farà emergere dinamiche sconosciute nel gruppo di camminatori, sollecitando “l’esplorazione ai confini tra la vita cosciente e la vita di sogno”. Al ritorno dalla deambulazione, Breton scriverà l’introduzione di Poisson Soluble, che diventerà in seguito il Manifesto del Surrealismo.
Con le azioni dei dadaisti prima e dei surrealisti poi, è nato un nuovo modo di stare nel nuovo spazio urbano. Da questo punto in poi la scrittura in relazione ai luoghi della città occuperà una posizione “critica”, non potrà fare a meno di porsi degli interrogativi, mettendo sotto esame la città, i suoi abitanti nell’abitarla e nell’attraversarla. Come si vedrà in seguito, in molti casi saranno gli scrittori, in anticipo o parallelamente agli studiosi, a porsi il problema di questo rapporto, avvicinando sempre più lo scrivere al movimento nella dimensione urbana.
(*)Walter Benamin, I “passages” di Parigi, Einaudi, pag. 364(**)Ibid, pag. 374
BibliografiaCharles Baudelaire, Lo Spleen di Parigi, FeltrinelliWalter Benjamin, I “passages” di Parigi, EinaudiAndré Breton, Manifesti del Surrealismo, Einaudi
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