“Quello che i bambini imparano a scuola rappresenta la centesima parte di quello che imparano dai genitori, dai parenti, dagli amici, dall’ambiente fisico e sociale in cui crescono, dalle strade, dalla televisione, dai giochi, dagli oggetti, da tutto e da tutti. Imparano assorbendo parole e nozioni, immagini e valori: non certo in modo passivo, del resto, ma sempre reagendo con le forze della personalità, assimilando il nuovo a schemi precedenti, cambiando continuamente questi schemi,
Un lavorio intenso, senza pause e senza tregue, che in fondo non conosciamo neanche bene, nel concreto, ma solo – a nostra volta – per schemi, che non siamo nemmeno tanto pronti a rinnovare. Troppo spesso ci fidiamo della nostra memoria, che ci inganna su tutti i punti perché ci fa confrontare il bambino d’oggi, che cresce nel mondo d’oggi, coi bambini che noi siamo stati, in un mondo infinitamente diverso. Ci fidiamo delle “grandi linee” che ci descrivono gli studiosi di psicologia dell’età evolutiva, non sempre attendibili, perché pochi di loro lavorano dal vero, molti non fanno che scriversi l’uno addosso all’altro, in una permanente trasmissione di conoscenze libresche.
Un bambino, ogni bambino, bisognerebbe accettarlo come un fatto nuovo, con il quale il mondo ricomincia ogni volta da capo. Questa è la cosa principale che dovrebbero insegnare ai genitori i manuali per l’educazione in famiglia, e ai maestri i trattati di pedagogia e di didattica”.
[Gianni Rodari]
Mi è ricapitato tra le mani questo vecchio ritaglio da un articolo di Gianni Rodari in una raccolta di Marco Lodoli (Scuola di fantasia). Oggi mi andava di proporvelo.