Philae e’ ora dormiente sulla superficie della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko, nascosto da qualche parte, proprio come un ragazzino tanto euforico che e’ sceso da solo, ha saltato e gioito come un pazzo, ha ammirato il paesaggio intorno a sé scattando foto e analizzando i gas col suo nasino, sistemandosi meglio al suolo con le sue gambette e scavando il terreno con le sue braccine per 64 ore ininterrotte, saltando pranzi e cene, (pure la colazione)… In aggiunta, senza luce, completamente al buio… Chi non si ferma, alla fine?
Le ultime notizie dall’ESA dicono che tutti gli strumenti a bordo di Philae hanno fatto il loro dovere e molto probabilmente il lander deve essersi scontrato con un ostacolo sulla superficie della cometa, probabilmente con il bordo di un cratere, durante il secondo contatto con la superficie. Dopo il primo grande balzo iniziale che lo ha portato estremamente lontano dal luogo prescelto dell’atterraggio, lanciandolo ad un’altezza di circa un chilometro, il secondo contatto e’ avvenuto con una “gamba” sola, grattando (in un certo senso) la superficie del cratere. Subito dopo Philae, ha toccato nuovamente la superficie, dapprima con una sola “gamba” e subito dopo con tutte e tre, danno il tipico segnale di touchdown verticale alle 18.31 italiane. Qui ha raggiunto quella posizione finale a noi ancora sconosciuta.
L’ultimo collegamento con la Terra (tra il 13 e il 14 novembre 2014) e’ durato due ore e 17 minuti. In questo intervallo di tempo Philae ci ha parlato: era riuscito a risollevarsi di qualche centimetro, quasi per miracolo, e anche a voltarsi di circa 35 gradi. Purtroppo però questo riassestamento non gli ha permesso di far rianimare i suoi pannelli solari spenti. I dati però li mandati e ne ha mandati davvero tanti in quegli intensi giorni e notti di lavoro (per lui si e’ sempre trattato di notte, a dire il vero). Sono svariati pacchetti di dati di telemetria con i dati scientifici, che sono ora all’esame dei ricercatori e scienziati ESA.
In particolare, sono stati azionati tutti gli strumenti compresi quelli che richiedevano movimenti meccanici, tra cui il trapano chiamato SD2, progettato per portare campioni nel cuore del lander, agli strumenti COSAC e Ptolemy, che sono il naso di Philae.
La sera del 13 novembre, si è presa la decisione di far operare SD2. La telemetria di SD2 ha mostrato che sia il trapano che il carosello di distribuzione hanno funzionato in maniera nominale eseguendo le operazioni meccaniche comandate. Il trapano ha raggiunto la distanza di 468,5 millimetri sotto il piano inferiore del corpo di Philae (560 millimetri dal suo reference point), è stato eseguito il comando di estrazione del sampling tube, il trapano è stato richiamato all’interno, il carosello di distribuzione è stato ruotato in maniera da sottoporre il sampling tube al giusto fornetto, il carosello ha ruotato di nuovo per portare il fornetto alla portata di COSAC”.
Tutto ciò deve tener conto anche SD2 ha operato in condizioni NON nominali, in quanto Philae non era assicurato alla superficie che il trapano intendeva raggiungere. La telemetria mostra un comportamento nominale dello strumento, sebbene ciò non garantisca che SD2 sia stato in grado di raccogliere un campione: lo strumento, infatti, non possiede dei sensori dedicati che possano confermare che il suolo sia stato raggiunto, né se un campione sia stato effettivamente raccolto nel sampling tube, neanche se questo sia stato poi scaricato all’interno del fornetto.
Sarà l’analisi dei dati degli altri strumenti che ci diranno se c’è stata reale interazione tra il trapano di Philae e il suolo della cometa. Intanto l’analisi dei dati raccolti da COSAC è in corso: dalla telemetria si può dire in maniera preliminare che non vi è un’evidenza chiara che permetta di confermare o escludere la presenza di materiale nel fornetto. Anche la natura del materiale, magari povero di volatili, può aver giocato un ruolo nella qualità delle misure di COSAC.
A bordo di Philae ci sono due laboratori chimici: il primo e’ COSAC, al quale il trapano ha consegnato il primo campione (forse) acquisito. E ha inviato dati scientifici. Ptolemy è il secondo laboratorio d’analisi presente nel cuore di Philae. E’ stato azionato anche lui, nonostante si sapesse che consumava parecchia corrente.
Riassumendo, in altre parole, quello che si sa e’ che la punta del trapano è uscita e che è rientrata (si e’ mosso su e giù). Ed è confermato che sono stati compiuti tutti i passaggi previsti per il trasporto del campione all’interno del forno d’analisi. Unico “dettaglio” non chiarito è se, rientrando, sia riuscito a portarsi appresso un campione di cometa o meno. In altre parole, non si sa se il campione era davvero presente. E tanto meno si hanno risultati dalla cromatografia.
COSAC e Ptolemy sono gli organi decisamente più interessanti ai fini della ricerca d’eventuali mattoncini della vita, ma non si sa ancora nulla almeno a livello del suolo. Qualche notizia in più, invece, dalle analisi sulla rarefatta atmosfera e’ trapelata: COSAC è stato in grado d’annusarla e d’individuarvi le prime molecole organiche. Non è però stato specificato quali, e lo studio degli spettri è ancora in corso.
Le immagini sono state prese dalla camera NAC OSIRIS a bordo di Rosetta a circa 15,5 chilometri dalla superficie della cometa. Da sinistra a destra, le immagini mostrano la discesa di Philae prima del touchdown. L’ immagine presa dopo il touchdown, alle 15.43 GMT, ora di Greenwich, conferma che il lander si stava muovendo in direzione est con una velocità di circa 0,5 metri al secondo. La posizione finale di Philae non e’ ancora stata determinata e rimane perciò ignota, ma si sa che il secondo contatto e’ avvenuto alle 17.25 GMT e che il terzo, quello definitivo, si e’ avuto alle 17.32 GMT. Gli scienziati sono ottimisti e confidano di poter trovare la giusta posizione di Philae dai dati di CONSERT e da OSIRIS, NAVCAM a bordo di Rosetta e da ROLIS e dalle camere CIVA a bordo di Philae. Crediti: ESA/Rosetta/MPS for OSIRIS Team MPS/UPD/LAM/IAA/SSO/INTA/UPM/DASP/IDA.Dei cinque e più sensi di cui dispone Philae, nella primissima fase di studio, il tatto ha fornito molte informazioni. Il tatto e’ racchiuso nello strumento MUPUS-Multi-Purpose Sensors for Surface and Subsurface Science, che con i suoi sensori ha il compito di misurare la densità e le proprietà termiche e meccaniche del suolo della cometa 67P/Churyumov-Gerasimenko. E quella che le sue dita elettroniche hanno toccato è una superficie inattesa: molto più dura di quanto previsto dagli scienziati.
Quanto più dura? Il martello che avrebbe dovuto saggiarne la consistenza era programmato per tre livelli d’intensità crescente: il modo 1, il modo 2 e il modo 3. Fallita la prima serie di martellate, fallita la seconda e fallita pure la terza, è però saltato fuori che in realtà il team aveva pronto anche un “piano B”, un livello di potenza segreto al quale il libretto d’istruzioni non faceva cenno: il misteriosissimo modo 4, conosciuto dagli addetti ai lavori con il nome in codice di desperate mode. Di questo livello d’intensità lo si capisce chiaramente è meglio non abusare. E, infatti, il progettista del martello, Jerzy Grygorczuk, aveva avvisato il resto della squadra, una cosa del tipo: “Lasciate perdere, del modo 4 io non vi ho detto nulla, fate finta che non ci sia”. Ma le batterie si stavano esaurendo, loro disperati lo erano davvero …
Così l’hanno attivato. E sono stati puniti: nel giro di sette minuti il martello s’è rotto.
Come mai? La temperatura del suolo della cometa e’ attorno ai 170 gradi sotto zero. Nel punto in cui si trova il lander Philae la cometa potrebbe essere costituita da un nucleo di ghiaccio durissimo ricoperto da 10-20 centimetri di polvere parecchio compatta.
Un risultato niente male: lo strumento infatti ha potuto funzionare solo a metà. Oltre alla rottura del martello SD2, lo strumento MUPUS ha dovuto fare a meno dei sensori termici e degli accelerometri presenti sugli arpioni, la cui attivazione è andata a vuoto – e solo per il breve tempo concessogli dalla batteria primaria, quella caricata per l’ultima volta sulla Terra oltre 10 anni fa, all’epoca del lancio di Rosetta che aveva un’autonomia di 64 ore.
L’udito del lander, affidato principalmente all’orecchio di SESAME (Surface Electrical, Seismic and Acoustic Monitoring Experiment), conferma sostanzialmente quanto rilevato da MUPUS. La resistenza del ghiaccio presente al di sotto dello strato di polvere che ricopriva il primo punto di contatto di Philae è sorprendentemente elevata. Non pare esserci molta attività cometaria nella zona del touchdown, e sotto al lander è presente acqua ghiacciata in grande quantità.
Il risveglio di Philae
Philae si risveglierà? Forse ad agosto, si spera. Se i raggi del Sole, con la cometa sempre più vicina, riusciranno a trovarlo in quel crepaccio nell’ombra dov’è rinchiuso.
La rotazione di 35 gradi impressa la notte prima della sua ibernazione pare essere andata a buon fine, nel senso che il pannello solare più grande si trova ora allineato verso il Sole. E’ probabile che già dalla primavera del 2015 Philae tornerà a farvi vivo. E, con l’estate, la temperatura su 67P potrebbe consentire alle batterie di ricaricarsi … Se i pannelli solari non si saranno nel frattempo coperti di polvere.