Da notizie di stampa ( ved "Il Messaggero" del 16 novembre) si apprende che sarebbe imminente l'emanazione da parte del Governo di un decreto legislativo, in attuazione di una delega contenuta in una legge sulla così detta " messa in prova", secondo cui, a decorrere dal 1° gennaio 2015, non sarebbero più punibili tutti quei reati per i quali è prevista la pena della reclusione non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la sola pena pecuniaria, congiunta o disgiunta dalla predetta pena detentiva.
La non punibilità sarebbe applicabile quando, per la modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, l'offesa fosse ritenuta di " particolare tenuità" o il comportamento risultasse non abituale.
La persona offesa dal reato potrebbe opporsi, prendendo visione degli atti entro un termine decadenziale molto breve ( 10 giorni), alla richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero, fermo restando il diritto al risarcimento del danno in sede civile conseguente al reato.
Tutto ciò, ove confermato, non può che suscitare molte e notevoli perplessità.
Innanzitutto, la punibilità di non pochi e molto comuni reati verrebbe, di fatto, lasciata alla totale discrezionalità del giudice, caso per caso, dando così luogo ad una pressoché totale incertezza del diritto.
Alla persona offesa dal reato verrebbe, in pratica, negata qualsiasi, sostanziale protezione e tutela: se non quella, assai aleatoria, del risarcimento del danno, in specie se si tiene conto che gli autori dei reati, definiti eufemisticamente " di particolare tenuità", sono, in genere, persone nullatenenti o che, comunque, risultano tali.
Aggiungasi che la sostanziale immunità accordata ad autori, per esempio, di truffe e furti non aggravati, di forme di abuso d'ufficio e di peculato d'uso, non può che risultare come un implicito ed oggettivo incoraggiamento a commettere tal genere di reati che, peraltro, come già rilevato, non sono affatto infrequenti e sono generatori di un diffuso sentimento di pericolosità e malessere sociale.
Stupisce, altresì, che la deflazione delle inchieste e dei processi penali venga perseguita mediante l'impunità per i reati commessi ( una sorta di forma surrettizia di amnistia impropria o di indulto), anziché mediante opportune modifiche normative procedimentali e il miglioramento dell'efficienza e dell'efficacia complessive dell'attività e degli apparati giudiziari.
Ma, per rimanere in un ambito più attinente a quello sportivo, v'è da rimarcare che, per effetto dell'emanando decreto legislativo, gran parte dei così detti " reati da stadio" , la cui perseguibilità e punibilità sono state rafforzate, sia sotto il profilo amministrativo sia sotto quello penale, dal recente decreto legge 22 agosto 2014, n.119, convertito nella legge 17 ottobre 2014, n, 146, così detta " antiviolenza negli stadi", resterebbero impuniti.
E ciò, non solo per quanto riguarda reati commessi dopo l'entrata in vigore del suddetto decreto legislativo, ma anche per quelli commessi prima, in virtù dell'applicazione del principio del " favor rei", in base al quale la legge penale sopravvenuta, più favorevole al reo, si applica anche retroattivamente.
A titolo esemplificativo, non sarebbero più punibili, sempre che il giudice ritenga il fatto di " particolare tenuità", reati quali : la violazione del Daspo, il lancio di materiale pericoloso, lo scavalcamento di recinzioni, l'invasione di campo, il possesso di artifizi pirotecnici, il divieto di striscioni e cartelli incitanti alla violenza o recanti ingiurie o minacce.
Da ultimo, ma non per importanza, si consideri che alcuni dei reati di cui all'allegato A al Codice di comportamento sportivo del CONI nonchè all'art. 22 bis delle NOIF della FIGC, quali causa di ineleggibilità a cariche delle stesso CONI, delle Federazioni sportive e delle società, solo in quanto comportanti una pena detentiva superiore ad un anno, non opererebbero più, per il futuro e per il passato , per l'appunto, quali causa di ineleggibilità alle suddette cariche.
Sempre a titolo esemplificativo, si citano reati come alcuni di quelli fallimentari, in materia societaria, in materia di intermediazione finanziaria.
La qual cosa dimostra, come pure sottolineato in precedenti occasioni da Federsupporter, la fallacia della tesi interpretativa ed applicativa, fatta propria dalla FIGC, secondo cui le normative del CONI e della stessa FIGC in materia di cause di ineleggibilità non distinguono, ai fini di quest'ultima, reati presi in considerazione soltanto per la loro intrinseca natura e rilevanza per l'ordinamento sportivo da reati presi in considerazione soltanto in funzione dell'entità della pena detentiva che essi comportano.
E' evidente, quindi, che , a maggior ragione a seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo in oggetto , il CONI e la FIGC debbano necessariamente rivedere l'attuale disciplina della predetta materia, così come oggi interpretata ed applicata, onde effettuare la distinzione di cui sopra, così restituendo efficacia e significatività alla disciplina stessa che, altrimenti, resterebbe, in gran parte e ben più di quanto già oggi non sia, irrilevante ed inutile ai fini che essa intende perseguire.
(Avv. Massimo Rossetti, Responsabile dell'Area Giuridico-Legale Federsupporter)