Il sole era alto, nel cielo non c’era nemmeno una nuvola e mentre camminavo avevo fatto caso a un sentiero di sassi sopra di me che portava in cima a una collina, verso una cerchia di case in pietra che formavano un muro di sbarramento simile a una postazione difensiva. Pensai lì per lì di salire e vedere da vicino quella specie di roccaforte.
Appena incontrai le prime case mi accorsi che, a un’estremità della scarpata, dominava la contrada una chiesa.
Da lì si poteva vedere il campanile a base quadrata, ma una volta risalito il sentiero che portava alle case più vecchie ci si trovava di fronte un panorama ben diverso. I quattro angoli della chiesa erano costellati da torri massicce dai muri spessi, ognuna rifinita in alto da un terrazzo piatto. Ogni torre era perforata da tre ordini di anguste feritoie e spioncini. Una chiesa fortificata, evidentemente, era la sola forma di difesa che si poteva costruire da queste parti ai primi del ’700 senza suscitare il sospetto delle autorità.
Mi arrampicai su per l’erta fino a un mucchio disordinato di case in rovina. A confronto dell’aria decadente di gran parte della vecchia contrada, la chiesa era ancora in un eccellente stato di conservazione. Una serie di fabbricati annessi era crollata e mancava del tetto, ma l’edificio principale era ancora intatto.
Entrai a dare un’occhiata. All’interno, la chiesa era ancora in uso. Lanterne e lampioncini ornavano a festone l’arco del coro, e le mura erano piene di immagini sacre.
Non appena mi sedetti in fondo, una donna molto anziana entrò facendosi il segno della croce. Arrivò all’altare e baciò una statua di legno, poi sfiorò una croce dipinta sul muro dell’abside e andò a inginocchiarsi in uno dei primi banchi.
Poco dopo salii su per una scala a chiocciola in una delle torri.
Dalla terrazza in cima si poteva gettare lo sguardo per miglia e miglia sulle colline e valli circostanti, sui pendii che scendevano scoscesi dalla base delle torri. Uno spettacolo inatteso, sorprendentemente diverso.
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