Il racconto si trova nei primi nove versi dell’undicesimo capitolo del libro della Genesi: tutti gli uomini parlavano una solo lingua e si misero in testa di costruire una città e una torre che arrivasse al cielo. Il Signore allora scese e vide in cosa si stavano impegnando gli uomini, decidendo di farli parlare diverse lingue in modo che, non capendosi più l’un l’altro, essi si disperdessero su tutta la Terra.
L’interpretazione classica di questo racconto mette al centro la superbia degli uomini, che con quella torre vogliono quasi sfidare Dio e per ciò vengono puniti. In questo modo l’esistenza di numerose lingue, tutte diverse, viene interpretata come una punizione divina.
Per alcuni studiosi, però, la dispersione nel mondo degli uomini può essere visto come un fatto positivo, che ha permesso all’umanità di crescere e quindi il gesto di Dio non è stato una punizione bensì un aiuto all’umanità a realizzare la sua vera vocazione.
In questa terra (oggi in Iraq) gli israeliti, probabilmente, videro la ziqqurat Etemenanki, un’enorme costruzione all’epoca incompiuta. Ai loro occhi questa torre, di cui oggi rimangono i resti, era il simbolo della superbia dell’oppressore, i babilonesi, e quindi segno negativo di sopraffazione e violenza.
Nella Bibbia, quindi, questa costruzione rappresenta tutte quelle imprese in cui l’uomo s’imbarca dimenticando Dio, il quale però interviene sempre per ricordarci cosa conta veramente nella vita.
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il commento al brano degli Atti degli Apostoli
sulla Pentecoste
Matteo Liut in Popotus del 4 marzo 2014