Non appena l'ultima pedina lascia la scacchiera, le mani del nephilim si protendono lungo il tavolo ad afferrare il volto del ragazzo; lunghi artigli bianchi splendono nella penombra del locale, solcandone le carni come lame incandescenti; quando alfine si ritirano, stringono nella loro presa un grumo etereo, filamentoso: una scia di fumo argenteo, un'aura che galleggia seguendo un moto che sembra seguire leggi fisiche differenti. Trasmigrando verso la testa della creatura, la strana sostanza inizia a vorticare con maggiore rapidità in prossimità della "corona di spine", che ne assorbe le spire attraverso larghi pori, che si sono aperti come bubboni scoppiati sulla superficie delle brune escrescenze rugginose.
I resti del giovane non riescono a toccare terra, che il tempo si ferma: il Pachinko precipita in un silenzio mortale; i corpi degli altri avventori si bloccano a metà tra i brindisi e le danze; alcuni ballerini, dalle movenze acrobatiche, sono rimasti sospesi in volo; il sudore e le bevande versate sono immobili a mezz'aria, cristallizzate e liquide allo stesso tempo.
"Sarò schietto: essere obbligato a tollerare la vostra esistenza, feccia mezzo sangue, mi infastidisce. Mi infastidisce non poco. Se fosse per me, vi sterminerei dal primo all'ultimo. Sarebbe un piacere farlo. Ma che veniate ad infilare le vostre luride dita nel piatto di chi vi è superiore, oooh, questo mi spedisce proprio fuori dai gangheri".
Il nephilim non solo è stupefatto.
Una cosa del genere non gli era mai successa.
Non sarebbe mai dovuta accadere.
"taci! Come osi anche solo rivolgermi la parola?"
Infine, qualcuno, qualcosa si muove: una figura, una sagoma, si fa avanti a passi lenti; si avvicina in linea retta incurante della geometria circostante; attraversa pareti e corpi; dal nulla si fa concreto, materiale, deformando lo spazio come le increspature sulla superficie calma di uno stagno quando si lancia dentro un sasso. Sarà alta due metri; due lunghe zampe da uccello con le dita palmate si fondono all'altezza della vita con un busto dalla struttura umanoide, ma che di umano non ha nulla: muscoli ipertrofici in punti sbagliati, sporgenze ossee ricoperte da ispidi peli spessi come aculei, due file di capezzoli penduli e violacei lungo le fasce addominali. Le spalle possenti si congiungono in un collo che ha il diametro di un tronco d'albero; su di esso poggiano non una, ma tre teste: un toro, un capro e un re. Ruotano in continuazione, come se non fossero davvero fissate al resto del corpo: gli occhi sono completamente bianchi, le bocche cucite da spesse scolopendre carnose, prive di chitina, con le zampe appuntite conficcate nella carne sanguinante. La voce arriva da tutte le direzioni e, allo stesso tempo, è dentro la testa del nephilim, come in una dolorosa forma di telepatia; nonostante la palese cecità, i movimenti sono precisi e aggraziati: è evidente che le tre teste non abbiano alcuna funzione reale; sono più simili a un'appendice decorativa, un organo da parata. Priva di braccia, ha una lunga coda squamata che frusta l'aria senza preavviso, come una lunga saetta bianca che illumina l'oscrutità in una notte di tempesta.
"Io sono Asmodai, Duca degli Inferi, Signore delle Bische, Patrono dei giocatori e dei bari. Lo dirò una sola volta, perciò presta attenzione: l'umano che hai appena battuto aveva stretto un accordo con me. La sua anima mi appartiene. Quindi, sottospecie di elohim mal riuscito, rendi subito ciò che mi hai rubato".
"Non peggiorare la tua situazione. Sono un Caduto purosangue, non vuoi vedermi più furioso di così".
"No! no! Parlo sul serio. La, la corona di spine è un parassita. Non posso obbligarla a sputare fuori anime. So solo che le rigetta quando perdo una sfida".
"Allora giochiamo. Per l'anima dell'umano. E tu perderai di proposito. O ti punirò in tanti e tali modi che, a confronto, quella zecca sulla testa ti sembrerà piacevole come una sega fatta di fretta in un cesso pubblico".
"Phanuel! Maledetto ophanim, mi spieghi come cazzo hai fatto a trovarmi?"
Una seconda figura è apparsa dal nulla, senza strani effetti ottici, senza produrre alcun suono. Come se fosse sempre stata presente. Ora che anche il nephilim può vederla, ha l'aspetto di un intricato complesso di ruote che girano in diverse direzioni; ogni ruota è percorsa da una lunga catena di occhi, ognuna caratterizzata da un diverso colore dell'iride.
"E se dovessi essere io a vincere?"
"Oh...quindi...oh oh oh. ah!ah!ah! Maledizione, feccia nephilim, cosa hai fatto a questo umano per farti odiare tanto? Sei fottuto. Sei veramente fottuto!"
"Il contratto. Il contratto che ho stipulato con il ragazzo. In cambio della sua anima gli ho assicurato due benefici. Il primo consisteva in semplici informazioni: gli ho spiegato che, per fare veramente del male a un nephilim maledetto, oltre a lasciare la sua corona di spine a digiuno di anime, avrebbe potuto fargli assorbire l'essenza di un essere divino. Ti assicuro, ophanim, che la zecca del ritardato qui presente non apprezzerà per nulla una tua sconfitta. Oooh no".
"Già, ma qui entra in gioco la seconda clausola: ho assicurato all'umano che avrei truccato tutte le sfide che sarebbero intercorse dalla sua sconfitta fino al saldo della sua anima, in modo che sia sempre il nephilim a vincere. Quando lo stipulai, pensai che volesse allettarmi con la prospettiva di ottenere anche le altre anime, oltre alla sua, ma adesso ho capito che faceva tutto parte di un fottuto piano davvero ben congeniato".
"Ne dubito. Continuerai a sfidarlo, e continuerai a perdere, donando a questo poveraccio parti della tua essenza , che lo faranno soffrire come nulla in questo stramaledettissimo creato. Si prospetta una serata moooolto lunga".
Le due creature, il caduto e l'ophanim, si voltano verso nephilim, ormai un teschio sciupato che, un pezzo alla volta, si è reso conto di non avere alcuna via di scampo. Come la più bella tra le sue vittime, la giovane di nome Berenice, il suo sguardo è vuoto, privo di ogni stimolo alla vita; i suoi pensieri, ormai confusi, stanno per cogliere il significato di una lezione importante.
Ma il secco rumore del primo pezzo sulla scacchiera lo riporta al presente.