Diu. L’avevo sentita nominare qualche volta durante i miei viaggi in India, ma non avevo mai incontrato qualcuno in grado di descrivermela in modo esauriente. La prima cosa che ti viene in mente quando senti parlare di Diu é un paragone con Goa, l’altra famosa colonia portoghese Indiana diventata poi negli anni un paradiso per hippies, sballati e festaioli di ogni tipo e infine backpackers in cerca di quelle atmosfere ma purtroppo arrivati troppo tardi. In realtá sono due posti molto diversi che hanno poco in comune, se non qualche chiesa portoguesa dipinta di bianco e alcune belle case coloniali.
Contrariamente a Goa, Diu vive soprattutto di turismo locale: nei weekend moltissimi Indiani, soprattutto Gujarati, vengono nell’isola a godersi le spiagge, il clima mite e gli alcolici in libera vendita nei bar. Diu in effetti é un perfetto esempio delle assurditá dell’India e delle grandi differenze che ci sono tra Stati anche vicini tra loro: nel Gujarat l’alcool é addirittura vietato, ma ti basta prendere una corriera e andare a Diu ( che geograficamente si trova all’interno dello Stato, anche se è amministrato da Delhi ) e puoi bere liberamente quello che vuoi spendendo meno che in tutto il resto dell’India. Ora, immaginatevi il classico tizio Gujarati, che la sera dopo il lavoro si berrebbe volentieri la birra o un quarter di whisky ma invece é costretto a bersi un chai o un lassi, che arriva a Diu e si trova in mezzo a bar con insegne luminose e musica e negozi di liquori fornitissimi di tutto, birre, vodka, vino… In pratica é come un bambino in negozio di caramelle, e puoi scommettere che a poche ore dal suo arrivo lo troverai ondeggiare ubriachissimo mentre canta canzonacce di film di Bollywood oppure disteso da qualche parte a smaltire la sbornia. Gli Indiani non sono esperti bevitori e in genere reggono poco l’alcool, e ovviamente i Gujarati che non sono nemmeno abituati a bere sono peggiori degli altri. Comunque considerando l’alta percentuale di ubriaconi i problemi sono pochi, a parte qualche rara rissa e dei tentativi di molestie a turiste sulle spiagge. Gli occidentali non sono molti, e quasi tutti sono viaggiatori sopra i trenta in cerca di una pausa dall’India “classica”. I backpackers sono pochi e stranamente quasi tutti Asiatici ( forse Coreani in libera uscita da Varanasi ). Mi aspettavo di trovare il classico “ghetto” per giovani occidentali, coi tizi con la maglietta di Bob Marley che ti approcciano per venderti l’erba buona, i ristorantini col wi-fi che ti fanno insipidi fried rice, le guesthouses con la veranda e l’amaca, agenzie che ti organizzano tour e gite in barca, i negozietti che vendono cilum e magliette coi funghetti colorati. Non c’è invece nessun ghetto, e anzi devi romperti abbastanza i coglioni per trovare una sistemazione economica, visto che sono sparse in una zona parecchio vasta. Se poi come me arrivi il sabato sei quasi fregato perché sono quasi tutte al completo. In pratica dopo un’ora di ricerche ne ho trovata solo una con stanze libere. Mi sarebbe piaciuto soggiornare nella Chiesa di Sao Tomè, che da qualche anno è stata trasformata in museo e in guesthouse, ma anche lì erano al completo.
E’ abbastanza superfluo dire che l’attrazione principale di Diu non é una spiaggia ( ce ne sono un paio con palme accettabili ma niente di eccezionale ), una chiesa o il forte Portoghese ( comunque molto bello ), ma sono i bar: ogni sera tizi locali dai nomi portoghesi ( tipo Fernando o Carlos ), gruppi di rumorosi Gujarati in gita e eccentrici gora si riuniscono al “Mozambico” o al “Panaji”, dove scorrono fiumi di alcool e dove si possono sentire interessanti storie di viaggi o aneddoti sulla città. Ma al di là dei bar, che non sono certo nulla di speciale per un Europeo, bisogna ammettere che Diu ha un certo fascino. La cittá vecchia é bellissima, e non solo quando ti perdi nel labirinto di vicoli e stradine la sera tornando dal bar. Le case tradizionali portoghesi colorate, la musica, l’effetto “ghost town” nelle prime ore del pomeriggio, le bianchissime facciate delle chiese, il solitario lungo mare. La cultura dell’isola è un affascinante mosaico costituito da persone di etnie e religioni diverse, un riuscito mix tra culture Asiatiche ed Europee. Per quanto ho visto se la passano anche piuttosto bene per gli standard indiani, non ci sono baracche fatiscenti o mendicanti per le strade, e a quanto pare turismo, tasse inferiori ad altri Stati e una base culturale “occidentale” consentono agli abitanti di avere un alto tenore di vita.
Daman, la “sorella” di Diu ( fanno parte dello stesso Stato dell’Unione, chiamato appunto Daman e Diu e amministrato da Delhi ), si trova un po’ più a Sud sempre all’interno del Gujarat, ma è molto meno conosciuta e raramente vede dei viaggiatori occidentali. Oltre all’alcool economico non c’è molto in realtà, ma può essere un buon posto “off the beaten track” dove fermarsi a cazzeggiare per qualche giorno se si è in viaggio in questa parte dell’India. A differenza di Diu non rimane moltissimo della città portoghese e anzi a prima vista sembra la tipica, squallida e sporca cittadina di mare indiana. Ma basta farsi un giro per rendersi subito conto che anche questa non è la “solita” India, tanti secoli di dominazione Portoghese hanno lasciato il segno, e la gente è molto più rilassata e in generale sembra vivere una vita più moderna. E poi qualcosa lasciato dai portoghesi c’è: due forti, qualche chiesa, case coloniali, scuole cristiane e una certa freschezza “Europea” che non si vede mai in altri centri dell’India.
La città è abbastanza strana: c’è una parte “commerciale” ( Nani Daman, Piccola Daman ), con il mercato, la stazione, gli hotel e i bar e quella amministrativa ( Moti Daman, Grande Daman ) dall’altra parte del fiume Daman Ganga, che si trova dentro le mura del grande forte cinquecentesco. Ovviamente quella più grande è Nani Daman, siamo pur sempre in India e ci vuole qualche contraddizione. La prima è caotica e colorata, tipicamente indiana, mentre la seconda è l’opposto: tranquilla, silenziosa, ordinata, con bei viali alberati e una splendida cattedrale ( Sé ). La spiaggia principale è abbastanza sporca e spoglia, il mare ha un colore griglio-marrone tutt’altro che invitante. La sera i ragazzi giocano a pallone e a pallavolo, i pescatori riparano le reti e le donne mettono a seccare pesci e frutti di mare. C’è un gruppo di anziani che gioca a scacchi, qualcuno suona una chitarra.
Anche qui il tenore di vita sembra alto, i supermarket sono ben forniti e i ristoranti pieni la sera. I bar mancano di quell’atmosfera da film d’avventura che si trova a Diu, e li ho evitati con piacere, anche perché all’hotel ero l’unico cliente e avevo un’ampia terrazza tutta per me dalla quale potevo godermi il viavai della gente, gustandomi delle ottime Fosters o Kingfisher gelate prese all’emporio di fronte.