Per risolvere il conflitto iracheno, il futuro vice – presidente Joe Biden teorizzava nel luglio 2007 un piano di divisione dell’Iraq in tre blocchi confessionali, basandosi sulla divisione delle Bosnia uscita dagli accordi di Dayton del 1995.
La “soft partition”, la partizione dolce fra un nord curdo, un centro sunnita e un sud sciita è diventata una realtà, ma la violenza in Iraq cresce di giorno in giorno. Il livello raggiunto oggi ormai è molto simile a quello della guerra tra le milizie del 2006 – 2008 e del dopo ritiro statunitense della fine del 2011.
Il conflitto siriano e il primo ministro iracheno Nouri Al – Maliki sembrano alimentare questi antagonismi della “fede”.
Le crisi nei due paesi sono nate da cause diverse, ma hanno in comune la ricerca della giusta “verità divina”. La guerra civile siriana vede contrapposte un’insurrezione a predominanza musulmana- sunnita e una coalizione di minoranze etniche e religiose che supportano l’entourage di Bashar Al – Assad.
In Iraq, il governo a maggioranza di fede sciita è contestato dai sunniti che oscillano fra opposizione politica e opposizione armata.
Lo scisma che si ripete. La guerra confessionale tra le due principali ortodossie della religione islamica vede contrapposte in Iraq come in Siria, la grande potenza sciita della regione, l’Iran e i due più importanti paesi sunniti, la Turchia e l’Arabia Saudita.
L’ Iraq è lo specchio del conflitto confessionale in atto in Medio oriente ancor più della Siria.
Dopo dieci anni di inaudita violenza, questo paese del Golfo Persico è stretto ancora fra il maelstrom delle lotte di potere tra sunniti e sciiti, alimentate negli ultimi anni dal conflitto in Siria.
La guerra dei sunniti iracheni ha travalicato la frontiera: il nemico non è più solo il primo ministro al Maliki, ma l’asse sciita Damasco – Baghdad – Tehran.
Tutto ciò sembra non interessare alle forze internazionali e l’intero paese continua ad essere dilaniato da attentati e attacchi che sono costati la vita a oltre 6.000 persone nel solo 2013.
L’Iraq è un paese ricco di petrolio e il fumo dell’avidità su questa importante ricchezza acceca chiunque tenti di risolvere il conflitto confessionale in atto.
“E’ molto più facile ricavare profitti da un paese debole piuttosto che da un paese forte ed equilibrato”
(Amir Ahmed – Le Monde diplomatique, gennaio 2014)
L’Oro nero piuttosto che il fondamentalismo religioso, è forse la vera disgrazia dell’Iraq.
Baghdad. Fedeli iracheni in preghiera. Credit by www.indire.it