Daniele Luchetti e Giovanni Berardi
È con il cinema di Daniele Luchetti che l’Italia sta ritrovando la sua più accesa verità espressiva. Infatti sin dal suo esordio, nel lontano 1997 con Domani accadrà, Daniele Luchetti non ha mai smesso di raccontare, cinematograficamente, l’Italia. E lo ha fatto anche storicamente, indagando l’Italia nel periodo della Resistenza con I piccoli maestri (1998), tratto dal libro omonimo di Luigi Meneghello, e politicamente con Il portaborse (1991), un film che rimane ancora attualissimo nonostante quest’anno compia vent’anni. E rimane, nei termini della sua filmografia, un merito assoluto, anche perché i suoi racconti cinematografici sono tra i pochi prodotti filmici italiani ad avere riscontri positivi, proprio in termini di visibilità, anche all’estero.
Daniele Luchetti lo abbiamo incontrato a Fondi, nell’ambito del glorioso FondiFilmFestival, organizzato dall’associazione culturale dedicata al regista fondano Giuseppe De Santis, giunta quest’anno alla sua storica decima edizione. Una prima occasione di incontro con Luchetti il cronista l’aveva già avuta qualche anno fa, quando il regista portò la sua troupe a Latina per girare il film Mio fratello è figlio unico, tratto dal romanzo Il Fasciocomunista. Vita scriteriata di Accio Benassi di Antonio Pennacchi, che l’autore, proprio in questi giorni, ha dichiarato di voler riscrivere. Luchetti in quella occasione rivelava di avere trovato nelle pagine di pennacchi una sorta di autenticità e di forte rispecchiamento con la sua realtà più personale. La sua esperienza umana usciva, da quelle pagine, completamente autenticata. L’occasione giusta e, in qualche modo, esorcizzata, per raccontarla in un film attraverso il filtro semplificatore dello scrittore Antonio Pennacchi. Poi sappiamo perfettamente delle polemiche scoppiate tra il regista e lo scrittore, con il regista che continua a rivendicare la sua autonomia dalla pagina scritta e lo scrittore che non riesce a capire come la sua storia sia diventata, in fin dei conti, quella di un altro. Ma il film rimane un bel film, pieno di ritmo e di brio; l’interpretazione degli attori poi – Elio Germano, Riccardo Scamarcio, Angela Finocchiaro, Massimo Populizio, Alba Rohrwacher, Luca Zingaretti - rimane da manuale. In concorso al Festival di Cannes nel 2007, Mio fratello è figlio unico ottiene vasti consensi nonostante sia una tipica storia italiana, una storia addirittura politica, anzi una storia politica autentica di una provincia italiana, quella di Latina nei primi anni sessanta, città di fondazione del regime fascista.
Dice Daniele Luchetti: “la visibilità, quasi toccata con mano, di quel romanzo mi aveva proprio appassionato, anche in termini di ambiente, un interesse mai raggiunto prima verso le città di fondazione fasciste”. Daniele Luchetti, cresciuto alla scuola laboratorio Gaumont di Renzo Rossellini, un tempo sicuramente l’alternativa possibile e preziosa al Centro Sperimentale di Cinematografia, dove sono cresciuti talenti del cinema italiano recente, quali Domenico Procacci, Giuseppe Piccioni, Carlo Carnei, Antonello Grimaldi, Valerio Jalongo, Sandro De Santis, Enzo Civitareale, Michele Scuro. Dalla esperienza Gaumont nascerà nel 1983 il film collettivo Juke-box, opera composta da una serie di cinque cortometraggi: La ricerca, diretto da Civitareale, Grimaldi e Scuro; Il volo, diretto da Jalongo, La cifra, diretto da De Santis, Nei dintorni di mezzanotte, diretto appunto da Luchetti, Attraverso la luce, diretto da Carlei. In seguito sarà fondamentale il genio cinematografico di Nanni Moretti produttore che intuirà in Daniele Luchetti l’autore che potrà diventare, e con la sua Sacher Film e con il socio Angelo Barbagallo ne agevola il debutto in solitaria con Domani accadrà. La carriera di Luchetti nel cinema è ormai lanciata. Sempre con la produzione Sacher di Moretti e di Barbagallo, Daniele Luchetti gira nel 1991 il film Il portaborse, una storia italiana che sapeva di truffe, di corruzioni, di inganni e di soprusi indegni, sceneggiato dai massimi Petraglia e Rulli. Il film in Italia fu decisamente un evento, non si esagera ad affermare che riuscì a sottolineare un epoca. Il portaborse andò al Festival di Cannes, le critiche in Francia furono entusiaste ed in Italia si instaurò presto un dilemma: il personaggio del film, il ministro infame Cesare Botero, impersonato tra l’altro proprio da Nanni Moretti, a quale politico poteva assomigliare di più? Fatto sta che si incazzarono tantissimo i socialisti, era l’alba in Italia di un momento storico politico sconvolgente, di profondo disagio, che si sarebbe chiamato Mani Pulite. Oggi, quando non è immediatamente impegnato tra copioni e set, Daniele Luchetti offre la sua importante esperienza ai giovani studenti del Centro sperimentale; tra le sue ambizioni c’è soprattutto la speranza di contribuire a forgiare e ad innervare talenti giovani capaci di restituire al cinema italiano le glorie nobili del passato. Non per niente la sua esperienza di cineasta deriva in gran parte dalla appassionata lettura giovanile del movimento cinematografico del neorealismo. Dice infatti Luchetti: “una traccia concreta del mio modo di fare cinema ha radici profonde proprio nel cosiddetto pedinamento della realtà”, che è fattore tipico del cinema neorealista. La genesi del suo ultimo film, La nostra vita (tra l’altro unico titolo italiano in concorso al Festival di Cannes nel 2010, interpretato da Elio Germano e Isabella Ragonese, che ha visto a Cannes il palmares per Germano come miglior attore ed in Italia il David di Donatello perla Ragonese come migliore attrice) ad esempio, ha, in assoluto più degli altri film precedenti, un percorso di questo tipo, una storia scritta proprio scendendo sul campo.
Dice Luchetti: “qualche anno fa mio cugino, che lavorava ad Ostia come sorvegliante di un complesso di case popolari in attesa di essere consegnate ai legittimi assegnatari, mi chiama e mi dice di raggiungerlo perché nell’atto della consegna, che era in programma da lì a qualche giorno, si verificavano sempre situazioni che possono corredare, proprio concretamente e sul campo, le trame di un film realistico. Ancora non avevo, in realtà, nulla in mente che andava nella direzione del film. Buio completo. La nostra vita proprio non esisteva ancora nemmeno come soggetto di indicazione. Ad Ostia resto qualche giorno tra quella folla di persone, che in un tempo più politicizzato venivano definite proletarie, ma oggi questa parola non ha più tantissimo senso, almeno ancora. Tra loro, intanto, assimilo, quelle che sono le ansie, le paure, anche gli attimi che sono di pura felicità e di serenità, le delusioni persino, i racconti delle loro vicissitudini per arrivare ad un momento che, in molti di loro, collimava con il raggiungimento di un obiettivo. L’esperienza sul campo è stata proprio forte, lì ho visto cose che poi hanno generato il desiderio di fare La nostra vita. Mentre la storia cominciava a prendere forma nei miei pensieri, passo anche diverse settimane tra i cantieri allestiti, in mezzo agli operai, addirittura l’attore coinvolto, Elio Germano, comincia a lavorare tra di loro, così come poi avrebbe dovuto fare nel film, imparando sul campo la logistica, i movimenti, il carattere rude del mestiere”. Elio Germano, attore, appunto, che proprio La nostra vita ha confermato essere di valore internazionale.
Dice Luchetti: “Elio non è solo un attore, è un artista. Poi mi piace molto il modo in cui ama definirsi: un operaio, uno che vuole fare davvero bene il suo lavoro, proprio al pari di un bravo operaio edile che vuole alzare innanzitutto diritto il suo muro. Elio è un attore che segue il lavoro anche durante i sopralluoghi, una cosa che non è molto sentita dagli attori italiani. Lui ama accodarsi e comunicare la sua ricca impressione anche verso i luoghi in cui dopo si gira. E lo fa sempre con assoluta discrezione e delicatezza, dopo avere ampiamente e saggiamente ragionato. È un attore che dà un grosso apporto al regista”.
Ora Luchetti lavora alla sceneggiatura del suo nuovo film, un racconto che sarà, per lui, un ritorno nell’Italia degli immediati anni settanta dopo Mio fratello è figlio unico. Dice Daniele Luchetti che non saranno motivi nostalgici a riportarlo in quelle atmosfere, visto che, tutto sommato, non prova per quei tempi particolari malinconie. Noi, comunque, che abbiamo in mente, ben fotografata, tutta la sua filmografia (Juke-box, Domani accadrà, La settimana della sfinge, Il portaborse, Arriva la bufera, La scuola, I piccoli maestri, Dillo con parole tue, Mio fratello è figlio unico, La nostra vita), pensiamo che anche il nuovo film sarà, in definitiva, il poetico inserimento di un altro tassello nel puzzle filmografico di Daniele Luchetti, un altro momento, infine, per testimoniare la storia ed il costume dell’Italia che cresce e/o, perché no, che decresce.
Giovanni Berardi
Scritto da Redazione il ott 19 2011. Registrato sotto DA UOMO A UOMO, RUBRICHE, TAXI DRIVERS CONSIGLIA. Puoi seguire la discussione attraverso RSS 2.0. Puoi lasciare un commento o seguire la discussione