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Danilo Sacco e l’età dell’anima

Creato il 15 gennaio 2013 da Scribacchina

«L’età dell’anima è diversa da quella registrata all’anagrafe. Credo che l’anima abbia una determinata età fin dalla nascita, e che questa età non cambi più. Si può nascere con un’anima che ha dodici anni. Si può anche nascere con un’anima che ne ha mille, esistono ragazzini dodicenni in cui si sente un’anima simile. Credo che l’anima sia la parte più inconscia dell’uomo, soprattutto in Occidente, penso che un orientale ‘viva’ la propria anima molto di più. L’occidentale non sa bene che farsene e se ne vergogna come di una cosa immorale. L’anima è diversa da ciò che noi chiamiamo “sentimento”. ci sono persone che hanno molto “sentimento” ma poca anima.

Quando ci capitava di parlare nella nostra grande differenza d’età, S. diceva sempre: “Chi mi dice che la sua anima non sia più vecchia della mia”».

***

Queste parole non le ho scritte io, anche se mi piacerebbe averlo fatto.
A metterle nero su bianco è stata una ragazza di 28 anni; io ed il suo libro ci siamo cercati e rincorsi per molto tempo: credo di averne sentito parlare per la prima volta una quindicina d’anni fa. Purtroppo non c’è mai stata l’occasione per incontrarci.
Curiosamente, questa chance è arrivata solo poche settimane fa, in un momento che era la somma di una serie di combinazioni: il famoso fattore «caso», una delle poche certezze di questa vita.

Danilo Sacco

Era il periodo in cui il mio basso era in riparazione. Momenti di puro terrore, essendo il problema non semplice da risolvere (ed essendo la sottoscritta tanto, tanto attaccata al suo strumento).
In una delle peregrinazioni dal liutaio – era una di quelle fredde sere invernali che se sei in casa non usciresti mai – mi sono ritrovata a passare dalle parti di Seriate. Tra i mille pensieri che mi frullavano nel cervello, un flash: certo, a Seriate c’è quel posto… come caspita si chiama?… mezzo bar mezzo libreria, ci vai per bere una birra e te ne esci con due libri sottobraccio. Una specie di Librerie Coop di Bologna, se conoscete il genere, solo molto più piccolo, più easy. E con un certo carattere bergamasco, anche nella scelta delle birre artigianali.

Tutto questo lo sapevo per sentito dire: non ci ero mai stata.
E allora via, entro nel locale, convinta di affogare in una birra i problemi del mio basso, ma… qualcosa non quadra: il bancone del bar è deserto. Sì, deserto: gli avventori sono tutti nel locale “libreria”, chi seduto chi in piedi. In fondo vedo tre sedie: una è occupata da quello che sembra un divertente (e divertito) intervistatore, un’altra regge un chitarrista e sulla terza c’è un personaggio che riconosco subito, non senza stupore: Danilo Sacco. In realtà c’era – eccome se c’era… ma la noterò solo all’uscita – una locandina sull’entrata del locale, con il viso e il nome di Danilo: evidentemente in quel momento mi stavo guardando i piedi, o le mani, o… i pensieri. O forse l’avevo anche guardata, la locandina, ma non l’avevo vista.

Danilo sembra essere il protagonista in questo curioso locale. Mentre parla riesco anche a trovare posto: è una seggiola mignon da puffo, ma ci si sta comodi (d’altra parte, che volevi, Scribacchina? sei nel reparto “libri per bambini”…). Tra una frase e l’altra capisco che è lì per presentare il suo nuovo libro – apperò, il Danilo, pure scrittore…

Lo sento parlare e non posso non pensare a vent’anni fa, mese più mese meno, quando morì l’Augusto. Ve lo ricordate, no?, l’Augusto Daolio: storico frontman dei Nomadi, un uomo che era già leggenda quando era ancora vivo. In quel periodo una ragazzetta di 18 anni vestita completamente di nero suonava controvoglia i giri di basso di Io Vagabondo e di buona parte della produzione nomadesca. Perchè «bisogna suonare quello che la gente vuol sentire, e la gente vuol sentire i Nomadi»… Ripenso con tenerezza a quel periodo, al gruppo di «cover ballabili» nel quale militavo e alla poca fiducia che veniva data a Danilo dai miei compagni di band (e sfegatati fan dei Nomadi). Danilo, un ragazzo piemontese quasi sconosciuto che doveva, da solo, raccogliere la pesantissima eredità dell’Augusto nazionale.
Mi fa strano essere qui, dopo tanti anni, ad ascoltarlo, a guardarlo. A scoprire chi era prima, durante e dopo il periodo con i Nomadi. A sentirlo scherzare sulla figura della rockstar: «Sì, perché voi vi immaginate Mick Jagger circondato da bellissime donne, con un’intera notte davanti, tra bagordi e tutto il resto. Ma noi cantautori non siamo Mick Jagger, ed è già tanto se riusciamo a tornare a casa per farci un risottino… e poi via a letto, altro che notti folli…».

Non ci sono storie: più lo ascolto, più mi sta simpatico.
E decido che il suo libro sarà mio.
Peccato che quando mi avvicino alla cassa della libreria, il tizio davanti a me si prende con nonchalance le ultime due copie e mi lascia con un palmo di naso, mentre guardo la piccola coda di gente che va a farsi autografare la copia dall’autore.
Certo che me la sarei fatta autografare volentieri anch’io la mia copia, dannazione…

Però.
Chi l’ha detto che debba finire così?
Se Danilo è davvero la persona intelligente e affabile che ho ascoltato poco fa, non avrà problemi a fare l’autografo su un altro libro. Ma dev’essere un libro serio, mica l’ultima produzione di Bruno Vespa.
Giro i tacchi e mi ritrovo tra gli scaffali della birro-libreria come una bimba al parco giochi: in meno di un minuto devo trovare il libro da far autografare, devo farcela.
In realtà dopo venti secondi prendo la decisione: l’occhio cade su di lui, sul libro che ho rincorso per quindici anni. Che mi ha cercata per quindici anni. Quello di cui parlavo in apertura.
Prendo, pago, tolgo il cellophan e corro da Danilo col trofeo in mano: «Eh sì, perché il tuo libro è finito, ma non credo avrai problemi a farmi l’autografo sul libro di qualcun altro… o no?».
«Assolutamente. Che libro è?»
«Non lo conosci? E’ Il diaro di Etty Hillesum, volevo leggerlo da tanto tempo».
«Ogni libro ha qualcosa da dire… forse lo leggerò anch’io, un giorno».

Saluto Danilo con una forte stretta di mano e mi avvio all’uscita.
Apro il libro per vedere cosa dice la dedica.
Sapete cosa dice?
«Buon cammino».


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