Il BPA, o bisfenolo-A, è un mattone fondamentale nella sintesi di plastiche e additivi plastici. Sospettato di essere dannoso per l’uomo sin dagli anni trenta, i dubbi sull’uso del BPA hanno avuto risalto sui media nel 2008, quando molti governi, a partire dalla stessa Unione Europea, hanno effettuato studi sulla sua sicurezza e alcuni venditori hanno tolto dal mercato i prodotti che ne contenevano. In particolare il BPA presente negli imballaggi in plastica e dei rivestimenti dei cibi in scatola, sarebbe causa di tumori e disturbi dello sviluppo, tra cui difficoltà di apprendimento, deficit di attenzione, e deformazioni degli organi sessuali, soprattutto nei neonati.
La ragione di tanto deriverebbe dai motivi storici per cui il BPA fu sintetizzato. Originariamente, infatti, fu sviluppato negli anni ’30 come una versione sintetica dell’ormone estrogeno femminile e per tali ragioni sarebbe una sostanza chimica che interferirebbe con il sistema ormonale negli animali, uomo compreso.
Negli Stati Uniti, il CDC (Centers for Disease Control and Prevention), l’Agenzia per la prevenzione ed il controllo delle malattie, stima che oltre il 90% delle persone negli Stati Uniti sono cronicamente esposti a BPA oltre 3000 volte il livello giornaliero massimo stabilito dai rapporti della FDA (Food and Drug Administration) l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici. Secondo alcuni, questa differenza incredibile deriverebbe dal fatto che le norme FDA avrebbero ignorato oltre 100 sperimentazioni e studi credibili ed indipendenti, diversi da loro.
V’è da dire sul punto che, purtroppo, gran parte delle più recenti ricerche e analisi sulle sostanze chimiche negli alimenti è stata condotta dalle società stesse che li producono, o da laboratori indipendenti assunti e ben remunerati per concludere che non ci sono “prove sufficienti di livelli dannosi per gli esseri umani“.
L’FDA e la CDC, hanno molto spesso utilizzato il criterio che ciò che uccide i topi in laboratorio non può avere lo stesso effetto sugli esseri umani, ma in questo caso centinaia di test effettuati sugli esseri umani hanno rivelato il contrario.
La presenza del BPA sulle etichette negli USA è evidenziata sia sul lato o sul fondo delle bottiglie in numeri neri o chiari, di solito all’interno del segnale distintivo dei beni riciclati formato da frecce circolari. Il numero “2”indica che il cibo è contaminato da alluminio e polietilene, mentre il numero “7”significa che è contenuto BPA nel vostro contenitore in policarbonato.
Da segnalare che a peggiorare i livelli di contaminazione sono anche i tempi nei quali gli alimenti o le bevande sono contenute all’interno di imballaggi: se le bottiglie, lattine o contenitori in generale sono stati sullo scaffale del supermercato per mesi, allora i livelli tossici di BPA sono superiori, e molto spesso, purtroppo non è dato sapere l’età del prodotto perché su alcuni non vi è l’obbligo di conoscere da quanto tempo sono inseriti in quel determinato contenitore. Inoltre, se la plastica è sottoposta a processi di riscaldamento, le tossine vengono rilasciate nell’alimento in maniera maggiore, così come i cibi in scatola sono spesso sterilizzati a temperature alte e quindi il livello di BPA rilasciata in questi alimenti è spaventoso, mentre per le lattine di metallo non vi è alcun obbligo di indicare la presenza di BPA.
Anche alla luce del Rapporto 2008 sull’Accertamento del Rischio dell’Unione Europea aggiornato sul bisfenolo A, pubblicato nel giugno 2008 dalla Commissione Europea, che ha concluso che i prodotti a base di bisfenolo A, come il policarbonato e le resine epossidiche sono sicure per i consumatori e l’ambiente quando usate correttamente, Giovanni D’Agat fondatore dello “Sportello dei Diritti” ritiene doveroso suggerire di acquistare, quando possibile prodotti contenuti nel vetro o di verificare che l’imballaggio non presenti tale composto, ricordando che il 25/11/2010 l’UE ha già messo al bando i biberon contenenti bisfenolo e che la produzione di biberon con bisfenolo A è stata vietata a partire dal primo marzo 2011, mentre la loro commercializzazione e importazione a partire dal 1 giugno 2011.
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