Partiamo dal titolo, perché e cos’è DanteSka?
Innanzitutto c’è da dire che il titolo del libro, per esteso, è “DanteSka ApocriFunk – Hip Hopera in sette canti”, dall’editore semplificato in copertina in DanteSka. Non sfuggirà il fatto che nel titolo completo sono riportati i nomi di tre generi musicali, lo Ska, il Funk e l’Hip Hop, che rimandano senza alcun fraintendimento al ritmo che ho voluto imprimere alle mie quartine, e che ritenevo indispensabile per accompagnare una forma letteraria che immaginavo di non immediata fruizione, per disabitudine al linguaggio poetico, da parte del lettore. Non nascondo che ho avuto l’idea folle di voler conquistare a questo particolare linguaggio proprio quella fetta di popolazione più restia ad avvicinarvisi, i ragazzi dell’età di mia figlia, quei giovani ai quali una scuola sempre più impoverita di mezzi e ingessata nei programmi è riuscita a far detestare la poesia. La domanda che mi sono posto è la seguente: perché un ragazzo oggi trova pallosa un’opera scritta in versi, e poi ascolta il Rap, che altro non è che una canzone fatta da rime, spesso banali e mal ritmate? Allora, così come ho scritto nella prefazione, ho pensato a DanteSka come una mini Commedia del terzo millennio, o un rap medievale, indifferentemente.
Qual è il legame, se c’è, con la Commedia?
Reputo la Divina Commedia una delle opere più alte che l’ingegno umano abbia mai espresso. Il viaggio all’inferno di Dante è un percorso che ogni essere umano sogna di fare, a maggior ragione uno scrittore. Pensa al contesto: accompagnati da un personaggio che rappresenta il proprio punto di riferimento umano, letterario, morale (io per il mio viaggio ho scelto Dostoevskij), e che quindi regala una certa tranquillità e sicurezza, si attraversano luoghi terrificanti (e di conseguenza affascinanti) con la sicurezza di riuscire, alfine, a riveder le stelle. Nelle desolate plaghe si possono cacciare con giustificata cattiveria tutti i nostri nemici o le persone che non sopportiamo. Bello, no? Scrivere DanteSka è stato per me un piacere immenso e un privilegio raro, un liberatorio togliersi decine di sassolini dalla scarpa.
Cos’è per te la satira e perché ce n’è bisogno anche oggi?
La satira politica non solo è sempre necessaria, ma indispensabile. E’ un elemento importante di ogni società, un vero e proprio indicatore di democrazia. Sbaglia chi pensa che la satira sia un puro e semplice deridere il potere. La satira non è indirizzata contro il potere tout court, ma contro quel potere, qualsiasi esso sia, che non opera nell’interesse del popolo che guida e del quale, non dimentichiamolo, dovrebbe essere un servitore e non un padrone. Nella situazione attuale, soprattutto nel nostro Paese, c’è una grossa confusione di ruoli e non si riesce più a distinguere, ad esempio, il governo dalle opposizioni, spesso assiepati entrambi sulle stesse opinioni (in economia, sul problema del lavoro, nella subalternità alla Chiesa cattolica, nel cavalcare il cavallo di battaglia del securitarismo). Pertanto il ‘potere’ da mettere alla berlina ha cambiato le sue forme, si è reso meno individuabile, non è più monolitico come in passato ma si mostra con sfaccettature del tutto inaspettate. Faccio un esempio.
Oggi il potere, in Italia, è costituito chiaramente dalla destra al governo; ma la sinistra, del tutto innocua e incapace di fare la benché minima opposizione, e che anzi spesso rincorre la destra sulle sue stesse parole d’ordine, non può che essere, in qualche modo, identificata come un’altra faccia della stessa medaglia. Entrambi gli schieramenti, in fondo, non fanno altro che mantenere e procrastinare il più a lungo possibile lo stato attuale delle cose, nel quale il popolo sta continuando a pagare un prezzo altissimo.
Scagliarsi contro il potere, con la satira ma anche politicamente, vuol dire non guardare in faccia a nessuno, inchiodando i responsabili della tragedia in atto, siano essi di destra o di sinistra poco importa, alle loro responsabilità, stando sempre molto attenti a non cadere nelle tentazioni qualunquistiche che sono sempre in agguato.
C’è poi un’altra funzione, cui la satira assolve, molto ben definita da Michail Bacthin: le dittature odiano, più delle critiche, la satira, perché il riso – e le pernacchie, le caricature, le parolacce – “abbassando” i potenti, riportano l’equilibrio nelle comunità. Ecco, DanteSka vuole essere un esempio di satira irriverente e viscerale, un Hellzapoppin’ letterario, un antidoto all’arroganza dei potenti o sedicenti tali, insomma, la classica risata che ‘li seppellirà’.
Come mai hai scelto la scrittura in endecasillabi?
Prima di rispondere a questa domanda voglio fare una piccola premessa. Come ho sempre sostenuto, io sono e rimango rigorosamente uno scrittore di racconti. E voglio altresì sgomberare il campo da ogni malinteso: non mi ritengo un poeta (non per snobismo ma per l’estremo rispetto che il termine merita) anche se ho voluto raccontare una delle mie storie con un linguaggio diverso, quello della poesia.
Detto questo, i motivi che mi hanno spinto a cimentarmi con questa specifica forma sono molteplici. Il primo motivo, banalmente, è che mi piace scrivere in questo modo. Mi piace Dante, il suo Inferno soprattutto, mi piace il ritmo e la musicalità che bisogna creare per la buona riuscita di una quartina. Mi piace la versatilità che tale forma poetica offre: ogni verso può essere una storia a sé stante, autoconclusiva, o il tassello di un mosaico più ampio. Mi piace l’attenzione che questo tipo di composizione richiede per ogni singola parola. Scrivere in prosa può anche diventare, a lungo andare, una pratica in qualche modo abitudinaria.
Quando invece vuoi raccontare una storia sapendo di avere a disposizione quattro righe, ognuna delle quali può contenere un numero limitato di parole, le cui sillabe sommate non possono eccedere il numero di undici, be’, la meticolosità e l’attenzione con cui scegli i singoli termini deve essere assoluta. Non solo, la ricerca delle rime alternate (che riduce drasticamente il numero delle parole utilizzabili) e soprattutto il rispetto della disposizione degli accenti all’interno dell’endecasillabo (utili a mantenere il ritmo della frase) danno l’idea di quanto lavoro certosino ci sia dietro questo tipo di opere. Il desiderio, quindi, di sudare su ogni singola sillaba, la voglia e la gioia di fare fatica nel partorire e distillare ogni specifica parola.
Che personaggi ritrai in DanteSka?
DanteSka è stata concepita, originariamente, per essere un unico e più breve canto totalmente incentrato sul nostro attuale Presidente del Consiglio: un uomo che, per quella che è la mia visone della vita, è l’incarnazione di tutto ciò, nulla escluso, che io detesto, e che, sempre secondo il mio parere, ha rappresentato per il mio popolo un deleterio “gnab gib” (big bang al contrario) scaraventandolo subdolamente in un neo Medio(cre) Evo. In seguito, a freddo, ho capito che la barbarie in corso non poteva essere opera di un sol uomo e mi sono messo a frugare nella melma della politica, del giornalismo, dell’editoria, della cosiddetta società (in)civile alla ricerca dei complici, per convenienza o per ignavia, poco importa, da scaraventare all’inferno in compagnia del “nemico pubico n. 1”.
Puoi segnalarci qualche perla/verso del libro?
Ben volentieri. Penso che l’incipit ben introduca l’ambiente e la storia che voglio narrare, che inizia, peraltro, da un madornale equivoco da parte del narratore.
Libando birra scura oltr’ogni abuso
seduto in un locale tra i più loschi
al nettare d’Irlanda il becco aduso,
leggevo, attento, “Donne” di Bucoschi.
Al par dello scrittore americano
per non voler cercar nell’uovo il pelo,
anch’io vissuto avevo in modo strano
senza capir l’altra metà del cielo.
Mentr’ero immerso in tutti ‘sti pensieri
mi sento picchiettare sulla spalla,
mi giro e su di me due occhi severi
m’inchiodan come fossi una farfalla.
La bianca e folta barba incorniciava
un tondo viso burbero e sagace,
la fronte alta e spaziosa all’uomo dava
un’espressione energica e tenace.
Dallo stupore ci restai di sasso,
d’acchito non credetti agli occhi miei:
Carletto Marx mi stava a men d’un passo,
pensai: Che fo? Gli do del tu o del lei?
“Maestro, quale gioia e che emozione!
Averla qui con me è straordinario.
Il padre, è lei, d’ogni rivoluzione,
guerriero del riscatto proletario.
Scrivendo “Il Manifesto” e “Il Capitale”
con Federico il mondo ella ha cambiato,
del comunismo ha posto l’ideale
nel cuore d’ogni povero e sfruttato.”
“Figliolo, credi a me, sei tutto scemo!
Non ho capito se ci sei o ci fai.
Tu forse non volevi esser blasfemo
ma bada che con me rischi dei guai!
Il triangolo non vedi sulla testa?
E l’accecante luce ch’io emano?
Invece sei partito lancia in resta
e m’hai trattato peggio d’un villano.”
Di botto mi crollò giù la mascella,
pestato avevo appena enorme cacca.
Se ancora errato avessi la favella
di certo avrei mandato tutto in vacca.
Non mi restò che simular la burla
fingendo d’aver fatto solo finta;
per non udir del padreterno l’urla
solerte comandai per lui una pinta.
(continua)
GLI AUTORI
Giuseppe Ciarallo è nato nel 1958 a Milano. Ha pubblicato due raccolte di short stories: Racconti per sax tenore (Milano, 1994) e Amori a serramanico (Milano, 1999) e, in collaborazione con altri autori, la collettanea di racconti Sorci verdi. Storie di ordinario leghismo (Edizioni Alegre, 2011). Collabora a riviste di letteratura, di satira politica, di musica e compone versi rigorosamente in quartine di endecasillabo.
Manlio Truscia è nato a Enna nel 1950. Dopo gli studi universitari a Firenze, giunge a Milano negli anni Settanta. Qui insegna e svolge la sua attività di fumettista, pittore e ‘artigiano dell’immagine’. Attualmente è illustratore e visualizer per importanti agenzie di pubblicità e case editrici.
Leggi anche la recensione di DanteSka di Alberto Prunetti su Carmilla!