DANZA BUTOH, Tatsumi Hijikata
DANZA BUTOH - Tatsumi Hijikata - di SARA PULICI. Hijikata Tatsumi nasce ad Akira nel 1928 con il nome di Kunio Yoneyama ed è considerato insieme a Kazuo Ōno (leggi articolo >) il padre fondatore del Butō – danza Butoh. Come Kazuo Ōno anche Hijikata comincia il suo percorso artistico studiando danza moderna, prima nel suo paese d’origine con Katsuko Matsumura (allieva di Takaya Eguchi che aveva studiato in Europa con Mary Wigman) e successivamente, arrivato a Tokyo, con Mitsuko Ando dove conosce e danza con Kazuo Ōno. Nel 1956 danza nelle performance di Ando con il nome di Kunio Hijikata e nel 1958 comincia a danzare sotto lo pseudonimo che lo renderà conosciuto in tutto il mondo, quello di: Tatsumi Hijikata. Il definitivo debutto di Hijikata risale al 1959 con la controversa performance Kinjiki(Colori proibiti), quella che viene considerata la prima performance butō, i corpi in scena sono quelli di Tatsumi Hijikata e Yoshito Ōno (figlio di Kazuo allora appena quindicenne). Il titolo Kinjiki (Colori Proibiti), è tratto dal libro omonimo dello scrittore Yukio Mishima, il tema di entrambi: l’omosessualità. >
…In scena due uomini, lui (Tatsumi Hijikata) e il giovane figlio di Kazuo, Yoshito, e un pollo. Niente musica. Uno teneva tra le gambe l’animale e poi lo soffocava con le cosce, alludendo chiaramente alla sodomizzazione. L’altro uomo, nell’ombra, faceva sentire i suoi passi, si avvicinava. I loro movimenti non erano quelli di una danza, ovvero nessuno poté riconoscere alcuna tecnica. Uno “scandalo”, sotto ogni punto di vista.[1]
Lo spettacolo sconvolge per la sua tematica e per la sua carica eversiva l’intero mondo della danza, tanto che Hijikata è immediatamente allontanato dall’Associazione di Danza Moderna giapponese.
Tatsumi Hijikata
Questo spettacolo appare subito come qualcosa di assolutamente nuovo e rivoluzionario, la scelta dell’oscurità sul palcoscenico non solo nega completamente la dimensione spettacolare dell’evento ma in più obbliga lo spettatore ad approcciarsi allo spettacolo non più solo a livello mentale e razionale, ma ad un livello più profondamente emotivo.
Inoltre in questo spettacolo non vi è né virtuosismo né estetica del movimento e questo porta a mettere in dubbio due categorie fino ad allora considerate fondamentali nella danza.
Infine questa performance mette in risalto le contraddizioni di un paese teatro di una massiccia occidentalizzazione e che sente minacciata la propria identità. Infatti se nel Giappone per secoli i rapporti omosessuali erano comunemente ammessi tra le persone di rango elevato, a partire dall’epoca Meiji (1868-1912), quando il Giappone viene forzato ad aprire le frontiere all’occidente, molti degli usi tradizionali vengono aboliti per ottenere l’approvazione degli stranieri, tra questi anche i rapporti omosessuali.
Ciò non significa che il butō sia nato semplicemente in opposizione a un modello occidentale, ma senza dubbio gli artisti in quel periodo vivono quotidianamente il problema di trovare un’alternativa valida da una parte all’ assimilazione culturale straniera e dall’altra alle arti tradizionali, che appaiono ormai vuote e non più in grado di rappresentare il popolo giapponese.
La modernità che velocemente sta prendendo piede in Giappone rende inoltre sempre più facile nascondere alla vista tutto ciò che è inappropriato e che causa imbarazzo (la sessualità, la morte, l’handicap ecc.): Hijikata porta queste cose sulla scena in modo che tutti possano vederle.
Il critico Nario Goda, che è nel pubblico dello spettacolo Colori Proibiti, ricorda:
It made those of us who watched it to the end shudder, but once the shudder passed through our bodies it resulted in a refreshing sense of release. Perhaps there was a darkness concealed within our bodies similar to that found in Forbidden Colors and which therefore responded to it with a feeling of liberation.[2]
La provocazione violenta di Hijikata offre quindi anche una via per liberare il lato oscuro sia dei danzatori sia degli spettatori che hanno il coraggio di andare oltre l’apparenza e di rompere coi limiti imposti dalla società.
Hijikata – hosotan
La sperimentazione sul corpo di Tatsumi Hijikata è radicale e prorompente, le testimonianze di coloro che partecipano alle sue Dance Experience sottolineano la sua volontà di lavorare mantenendo il corpo in un perenne stato di crisi, senza fare alcuna differenza tra danzatori professionisti e non.
La ricerca di Hijikata, partendo dal concetto di “corpo morto”, un vessillo vuoto in cui l’Io cosciente si dissolve fino ad “essere danzato”, un corpo che diventa pura presenza, puro atto, si snoda verso il sommerso, lo sconosciuto e l’oscuro. Ma è proprio questa tenebra, che ad Hijikata interessa e che indaga fino alle più recondite profondità.
I corpi e i movimenti dunque, non seguono più le leggi del bello, dell’ordine e non aspirano alla perfezione tecnica, ciò che interessa Hijikata è indagare l’origine del movimento, la vera spinta vitale che porta l’uomo a danzare. Quello che ne scaturisce è una danza senza movimenti di espansione, e di estensione, senza virtuosismi e che si protende verso la terra più che verso il cielo.
Come sostiene il critico Nario Goda in un’ intervista: Ballet is six inches above the floor, Butō is six inches below the floor.[3]
Il primo sembra sfidare ad ogni movimento la forza di gravità, il secondo succhia il movimento dalla terra.
Tatsumi Hijikata
Nel settembre del 1961 Hijikata organizza la seconda edizione dei suoi recital: Hijikata Tatsumi Dance Experience presentando due pezzi : Han.in.han.yosha no hirusagari no higi – sansho (Riti segreti di un ermafrodita) e Sato no keki (Torta di zucchero) e comincia a chiamare la sua danza Ankoku Buyo.
Risale invece al 1962 la dicitura definitiva di Ankoku Butō . Ankoku può essere tradotto come “campo nero” (in inglese “pitch black”), mentre Buyo è il termine generico che indica la danza, finchè Hijikata cambia Buyo in Butō, il termine usato per designare tutte le danze straniere.
Il nome Ankoku Butō ovvero la danza delle tenebre, incarna la direzione di ricerca di quegli anni, una ricerca nel sottosuolo del corpo e dell’anima dell’essere umano.
In quell’ anno si forma l’Ankoku Butō Group: vi fanno parte Kazuo Ōno, Yoshito Ōno, Akira Kasai, Mitsutaka Ishii mentre altri danzatori tra cui Tomino Takai e Natsu Nakajima, si aggiungono più tardi. Nello stesso anno viene messo in scena Anma (Il massaggiatore cieco), che ha come sottotitolo Storia di un teatro che sostiene il desiderio. Qui si nota lo studio dell’influenza giapponese sul corpo e sulle ambientazioni a partire dalla figura del massaggiatore, figura tipica della società giapponese.
E’ di questo periodo l’intenso lavoro di ricerca delle proprie radici. Dopo Anma Hijikata parte per un viaggio con il fotografo Eikō Hosoe nella terra in cui è nato, la regione di Tohoku. Anche Hosoe da ragazzo ha abitato in quelle zone ed entrambi hanno sentito la storia del demone Kamaitachi (letteralmente “falce di donnola”)[4]. La leggenda narra che il Kamaitachi attaccava la gente nei campi durante la primavera e chi era attaccato si trovava con braccia, gambe o altre parti del corpo tagliate come da un coltello molto affilato. Da questo racconto nasce la rappresentazione chiamata Kamaitachi, che viene allestita in alcuni villaggi della zona. Da questa esperienza derivano le fotografie che sono diventate poi un libro edito nel’67, intitolato Kamaitachi. Il viaggio nella sua terra nativa fa nascere in Hijikata il desiderio di investigare sempre di più le origini della sua danza, così ben presto la ricerca di una danza giapponese si trasforma in nostalgia per le sue origini. Fu proprio in questo periodo che Hijikata comincia a sostenere che sua sorella abita dentro di lui.
Hijikata, ultimo di undici figli, ha non solo perduto molti dei suoi fratelli in guerra, ma durante l’infanzia ha subito il trauma di perdere la sorella maggiore, venduta a una casa di piacere, come era uso nelle famiglie molto povere per permettere alla famiglia di sopravvivere all’indigenza. Questo lo porta a riflettere sulle donne e sulla relazione tra il corpo femminile e la danza e Hijikata arriva alla conclusione che, mentre il corpo degli uomini è spesso prigioniero del mondo logico, le donne, proprio per la loro possibilità di sperimentare la maternità e dunque la vita in tutte la sua forza dirompente, possono incarnare e sperimentare il lato illogico della danza e di tutto il reale.
Spinto da queste riflessioni Hijikata riunisce un gruppo di donne: Yoko Ashikawa, Saga Kobayashi e Momoko Mimura, che non hanno alcuna esperienza di danza e si dedica insieme a loro ad un intensissimo lavoro di ricerca. Il suo lavoro si incentrava sulla scoperta della forza vitale originaria del corpo femminile.
Per lavorare sulla presenza fisica rendendola più cosciente, Hijikata imposta il lavoro evitando i movimenti rapidi ed esagerati e concentrandosi invece sul rapporto con il suolo e su un centro di gravità del corpo molto basso. Yoko Ashikawa si esibisce per la prima volta nel ’68 ed è l’unica che Hijikata considererà sua allieva.
Tatsumi Hijikata
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Nel 1968 si ha la consacrazione vera e propria dell’ankoku butō, la danza delle tenebre, con lo spettacolo Nihonjin to Hijikata Tatsumi- Nikutai no hanran (Hijikata Tatsumi e i giapponesi – La Ribellione della carne). Già il titolo, in cui Hijikata si mette in relazione con i giapponesi come totalità, può essere letto come indice del suo interesse crescente verso un passato specificatamente giapponese. La ribellione della carne, fu l’ultimo spettacolo in cui Hijikata utilizzava movimenti che ricordavano la danza occidentale. Così lo riporta Jean Viala:
Hijikata entrò attraversando la platea trasportato su una barella di legno. Dietro di lui seguivano un maiale in una culla per bambini e un coniglio adagiato su un piatto all’estremità di un palo. Il suono di questo improvvisato baldacchino, il movimento del suo bianco kimono da sposa indossato al contrario e il terrore degli animali, contribuirono nel loro effetto di insieme ad avvolgere gli spettatori in un mondo precario, incerto e confuso, dove più nulla sembrava avere presa sulla realtà. Una volta sul palcoscenico Hijikata si tolse il kimono bianco sotto il quale indossava solo un fallo dorato. Iniziò una danza barbara, saltando all’improvviso su immense placche metalliche appese al soffitto, che muovendosi riflettevano un’immagine di caos senza fine esasperando la sensazione di violenza. Poi continuava con l’uccisione di polli ai quali rompeva il collo alludendo ad un suo spettacolo precedente (Kinjiki). Nella seconda parte la derisione sostituiva il grottesco e Hijikata compariva indossando un enorme vestito con una coda di satin bianco, prendendosi gioco delle danze da ballo occidentali e di altre forme di convenzionali. Terminava con una parodia dell’Ascensione che costituiva il suo addio all’occidente: sospeso a delle funi si lanciava sulla testa del pubblico arrivando al limite opposto della sala.[5]
Questo spettacolo, che si presenta agli spettatori come un baccanale o un rito eretico, viene visto dai critici come un punto di svolta nella carriera di Hijikata, il punto del suo effettivo ritorno al Giappone.
Con La Ribellione della carne Hijikata fa piazza pulita dei modelli e dei valori del bello che l’Occidente aveva importato, fa a pezzi il corpo, quello socialmente accettato, e così rifiuta l’intero ordine sociale, quello di corpi ordinati che sanno quello che devono e non devono fare. Hijikata si dirige a questo punto della sua carriera verso una sperimentazione radicale, verso una ricerca in cui il corpo, da solo, come presenza viva, parla la sua verità senza essere più strumento di qualcos’altro. E’ anche in questo periodo che si colloca il suicidio dell’amico Mishima, che nel 1970 si dà la morte compiendo il suicidio rituale (seppuku), praticato nel Giappone fino all’era Meiji. Mishima appena prima del suicidio pronuncia queste parole:
Abbiamo veduto il Giappone del dopoguerra rinnegare, per l’ossessione della prosperità economica, i suoi stessi fondamenti, perdere lo spirito nazionale, correre verso il nuovo senza volgersi alla tradizione, piombare in una utilitaristica ipocrisia, sprofondare la sua anima in una condizione di vuoto…Insorgeremo insieme ed insieme moriremo per l’onore. Ma prima di morire ridoneremo al Giappone il suo autentico volto. Noi ora testimonieremo a tutti voi l’esistenza di un valore più alto del rispetto della vita. Questo valore non è la libertà, non è la democrazia. E’ il Giappone. Il paese della nostra amata storia, delle nostre tradizioni: il Giappone.[6]
Tatsumi Hijikata – danza Butoh
Da allora allontanatosi dalle scene per dedicarsi alla coreografia, Hijikata comincia a chiamare la sua arte Tohoku Kabuki. Tohoku è l’area del Giappone da cui proviene, una zona impervia nel più remoto nord del Giappone. Un’area con un clima molto rigido ed essenzialmente a carattere rurale, è questo il luogo in cui Hijikata passa la sua infanzia. I ricordi di questo periodo sono molto lucidi e drammatici: il vento sferzante, la neve invernale che in primavera lascia posto al fango, il lavoro estenuante degli adulti nei campi e i bambini lasciati a sé stessi. In questa fase dunque, Hijikata abbandona le tecniche spettacolari e scioccanti per concentrarsi invece sulle varie espressioni della vita e le metamorfosi del corpo.
In questo periodo prende forma quella estetica che sarebbe stata poi conosciuta in Europa: la postura accovacciata, le gambe piegate, il baricentro spostato verso il basso, le facce deformate. Tutte queste caratteristiche rispecchiano le membra del corpo giapponese, piegato dal duro lavoro nei campi. Nelle sue riflessioni all’apertura del Festival butō dell’86, Hijikata parla anche dell’ Ijime, un paniere utilizzato per tenere caldo il riso cotto, ma che veniva spesso riconvertito in cesta per portare i bambini piccoli nei campi. In queste culle improvvisate i bambini venivano lasciati tutto il giorno, senza la possibilità di muoversi, i genitori, presi dal duro lavoro nei campi, spesso non potevano sentire il loro pianto:
Questi bambini vivono già al di là della sofferenza. Imparano a divorare le tenebre, imparano a giocare con il proprio corpo. La sera sono liberati dal paniere. Ma poiché le loro gambe sono rimaste bloccate tutta la giornata in una posizione contorta, non riescono ad alzarsi né a stirarsi … Quando gli europei parlano, seguono con logica il filo dritto dei propri pensieri. E danzano in questo stesso modo, con le membra ben tese. Ma noi giapponesi, figli e genitori, con le nostre gambe atrofizzate o irrigidite dal duro lavoro, ci dirigiamo a casa.[7]
La dicitura di Tohoku Kabuki viene coniata in effetti per gli spettacoli Shiki no tame no 27 ban (Ventisette notti per quattro stagioni) del 1971 e Shizukara Ie (Una casa tranquilla) del 1973, in cui vengono riproposte scene di vita rurale a Tohoku nei primi anni ’20.
Negli stessi anni Yoko Ashikawa raggiunta più di chiunque altro la padronanza nelle tecniche di metamorfosi dirige insieme a Hijikata il gruppo Hakutobo. Nel ’77 Hijikata termina di realizzare Yameru Mai Hime (La danzatrice malata), mentre Ashikawa, nel ’77, presenta a Parigi Ma/Spazio-Tempo, una delle prime performance di butō che raggiunge l’Europa.
Dopo il ’76, quando il teatro Asbestos, in cui Hijikata lavora con Ashikawa e il gruppo Hakutobo, chiude, Hijikata si dedica principalmente alla regia degli spettacoli di Ōno. Nel 1983 presenta tre pezzi con Yoko Ashikawa raccolti in Le mammelle del Giappone, che arriva in turnée anche in Europa. Gli spettatori affezionati al lavoro di Hijikata rimangono nel complesso abbastanza delusi, in quanto l’energia e la potenza dei primi tempi sembra scomparsa.
Secondo Yoko Ashikawa comunque, è proprio negli anni del Tohoku Kabuki che il lavoro di Hijikata si fa sempre più interessante; probabilmente la morte prematura di non gli lascia il tempo di raccogliere i frutti di questa nuovo filone di ricerca.
Nel 1985 infine, si svolge a Tokyo il primo Festival Butō, in cui Hijikata si limita a fare un intervento introduttivo.
Muore solamente un anno dopo all’età di 57 anni, consumato da un tumore al fegato.
Tatsumi Hijikata rimane senza dubbio il teorico fondatore del butō, colui le cui idee e spettacoli hanno via via segnato le varie direzioni di ricerca di questo movimento artistico. Sul suo letto di morte, Yoshito racconta come il desiderio di Hijikata fosse quello che il butō non scomparisse con lui, ma che modificandosi ed evolvendosi non perdesse mai la sua forza creativa, considerando gli sviluppi recenti il suo desiderio non è rimasto inappagato.
Sara Pulici
Tatsumi Hijikata, Cercando Nell’Ombra
Citazioni da:
- D’Orazi, Maria Pia, Butō. La nuova danza giapponese, Roma, Editori Associati, 1997.
- Mishima, Yukio, Lezioni spirituali per giovani samurai e altri scritti, Milano, Feltrinelli, 1990 (raccolta postuma degli scritti del 1968-1969).
- Salerno, Giorgio, Suoni del corpo segni del cuore, Milano, Costa&Nolan, 1998.
- Horton Fraleigh, Sondra, Dancing into Darkness : Butoh, Zen Japan, Pittsburgh, University of Pittsburgh Press, 1999.
[1] Salerno, 1998: p.30.
[2] Cit. in Blakeley Klein, 1989: p.30.
[3] Horton Fraleigh, 1999: p.173.
[4] D’Orazi, 1997: p.176.
[5] Trad. in D’Orazi, 1997 : p.12.
[6] Mishima, (1970) 1990 : pp. 122-126.
[7] Tratto dal discorso introduttivo al Festival di Butoh del 1985 a Tokio; in D’Orazi, 1997 : pp.70-71.
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Sara Pulici
Nata nel 1980 si appassiona molto presto al teatro, e grazie all’interesse per la giocoleria entra in contatto con il giocoliere-danzatore Jean-Daniel Fricker. Si indirizza poi subito verso la Danza Butoh frequentando negli anni diversi laboratori tenuti da vari nutokas, sia in Italia che all’estero. Tra questi, preziosi sono per lei gli incontri con Yoshito Ohno (figlio di Kazuo Ohno) e con Atsushi Takenouchi, Katsura Kan e Sayoko Onishi. Nel 2006 si laurea in Filosofia, indirizzo Antropologico, con una tesi sul butoh dal titolo “Divorare le tenebre, la danza butoh come esperienza di sconfinamento”. È anche relatrice, nel 2007, al convegno organizzato dall’università di Bologna sul Maestro Kazuo Ohno. Nello stesso periodo Sara Pulici si unisce alla compagnia fondata da Jean-Daniel Fricker partecipando a diverse performances e spettacoli. Di lì a breve la compagnia si trasferisce in India (Hampi), esperienza dalla quale scaturisce lo spettacolo “Pières”. Dopo lo scioglimento della compagnia, settembre 2008, si sposta in Svizzera dove attualmente risiede e lavora. Nel 2012 viene selezionata in occasione della rassegna “Botoh Clip” al centro culturale Bertin Poirée di Parigi. Continua la sua ricerca e la preziosa collaborazione con Jean-Daniel Fricker.
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MAE Milano Arte Expo [email protected] ringrazia Sara Pulici per la rubrica dedicata alla Danza Butoh e il testo Tatsumi Hijikata, Cercando Nell’Ombra.
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