Relation-A-Bouty-de-souffle
Relation_Á bout de souffle
Ideazione: Andrea Zardi
Coreografia ed esecuzione: Andrea Zardi e Riccardo Meroni
Artista: Laura Zeni
In occasione della IV° edizione del festival Coreografia d’Arte di Federicapaola Capecchi, Francesco Tadini, Spazio Tadini, viene presentata Relation: Á bout de souffle, nato dall’incontro con la pittrice milanese Laura Zeni e prendendo le mosse da alcune sue opere, come il trittico Soffio della Ballerina, dalle 999+1 Teste di Ritratti interiori e dai dittici Lo scorrere del Tempo e Danza. La personalità intraprendente e curiosa di Laura ben si accorda con quella che è la sua produzione artistica, che risulta sempre vivace, fantasiosa ed estremamente dinamica: il suo disegno assume facilmente dimensioni corporee fisiche e concrete, ed è stato quindi (quasi) naturale strutturarlo sul corpo danzante e performante.
Il “souffle” è quello delle personalità quotidiane, che si costruiscono tramite l’incontro/scontro fra di loro, come accade per gli atomi: noi non possiamo essere coerenti con noi stessi, se non essendo predisposti sempre al cambiamento. Le relazioni ci arricchiscono, ci impoveriscono, ma in qualsiasi modo siamo costretti a spogliarci di quelle che sono le nostre strutture e affidarle alle persone che fanno parte della nostra vita. Questa non è “volubilità” ma è “duttilità”, necessaria per la nostra crescita e per il percorso che ognuno sceglie di intraprendere. I rapporti vivono una fase di isolamento, di interazione e poi di scoperta dell’altro-da-sé e quello che ne risulta è una personalità nuova, un pattern painting con più colori e interiormente più ricca. I corpi fluttuano sempre forti della loro presenza e della loro concretezza, ma ciò non vuol dire che non possano cambiare e raccontarci una storia imprevista.
I corpi, incontrandosi, si espongono a molti pericoli: può essere un rapporto di dominio o schiacciamento, comunque non è mai un rapporto bilanciato. Oppure può essere uno scontro violento, in cui un sostegno sbagliato crea allontanamento e incongruenze. Nella danza, come nella vita, l’atto performativo sta proprio nel trovare quella fiducia e quell’accordo insindacabile fra due persone, dimenticandosi del senso di protezione che tendiamo ad avere verso noi stessi e verso chi ci sta accanto.
Da una musica che fa da tappeto musicale senza emozione, i danzatori cercano un accordo e ritrovano il contatto con il luogo e con gli oggetti nello spazio di cui possono fruire, i cui confini in scena si cancellano e diventano labili. La melodia della Giselle di Adolphe Adam ci riporta a una comunione di intenti, a un tributo al Soffio della Ballerina. Ma l’atmosfera cambia, i ritmi si armonizzano e si cercano degli equilibri: il movimento diventa narrazione continua ed energica, da consumare velocemente in un dialogo serrato attraverso voci sintetizzate e melodie pop. La conclusione avviene in continuità con il flusso della tela: i corpi si sono svuotati di concretezza ed è l’opera d’arte ad esserne diventata la rappresentazione dello stato d’animo.
Andrea Zardi e Riccardo Meroni, Laura Zeni
Ph AlviseCrovato
Quello che la danza fin dalle origini – e senza pretesa di raccontare sempre una novità – cerca di portare a frutto è quello che nasce da una relazione, di qualsiasi genere essa sia, e di plasmarla fisicamente. Esattamente come in una tela grande quanto un palco. Oggi, in un momento di grande insicurezza per la cultura e per le arti performative in generale, il danzatore è ancor più animato dalla necessità di comprendere quali siano le proprie Intenzioni di Movimento: cerca di pensare l’azione e dare una dimensione fisica a quello che si trova davanti, e alle sensazioni che esso provoca.
La neuro-estetica è una disciplina recente che tenta di spiegare e comprendere l’esperienza estetica a livello neurale, ossia come il cervello reagisce all’incontro con l’opera d’arte. Essa si basa sullo studio dei neuroni-specchio, il cui meccanismo ci permette di vivere le sensazioni corporee ed emotive vissute dall’artista o dai protagonisti davanti all’esperienza estetica. La sfida sta proprio nel voler mediare questa esperienza attraverso un’altra via: lo spettatore può avere una risposta empatica ed emotiva alla visione dell’opera d’arte, anche comunicata attraverso il movimento. Gli artisti della seconda metà del Novecento ci insegnano che i movimenti possono avere un colore e un suono, e quindi, per il coreografo, anche i colori e i suoni possono prendere forma a livello cinetico.
Qual è il risultato? La leggibilità come un tributo a una scrittura del corpo, ma anche a una scrittura colorata e grafica, come quella di Laura. La decifrabilità dei rapporti e delle emozioni che danno vita a una terza persona, a un altro-da-sé che ci rende molto diversi e molto più maturi. I corpi sono svuotati di tutto quello che hanno avuto da dare, e l’opera ne ha assorbito le energie, diventando colorata e arricchita di tutti quegli stati d’animo che ha ispirato.
Relation_Á bout de souffle è un volo energico in una relazione fra le persone ed è la fine di un afflato di movimento che prova a rendere reale l’esigenza che sta alla base delle opere di Laura Zeni e la sua analisi del reale, come in uno slapstick aperto a ogni lettura. Lo spettatore è invitato a interagire con la creazione dell’opera, realizzando il proprio Stato d’Animo all’interno del profilo, e di renderlo parte del lavoro dell’artista.: un pattern painting delle emozioni collettive.
Un pomeriggio di Agosto inoltrato, in una Milano rovente e quasi deserta, sono stato chiamato da Federicapaola per una proposta di collaborazione. Nel mondo della danza è difficile avere visibilità, e sono rimasto ancor più stupito di sentirmi dare un incarico così impegnativo da una professionista che mi ha dimostrato la sua fiducia conoscendo molto poco la mia personalità come danzatore e la mia – comunque scarsissima – esperienza come coreografo. Ma aveva oculatamente compreso che il mio approccio ben poteva accordarsi a quella di una donna e artista straordinaria come Laura Zeni.
Andrea Zardi – Riccardo Meroni – Laura Zeni -
Ph Alvise Crovato
Dopo aver visto Il soffio della Ballerina e alcune delle sue Teste, ho cercato subito di rispondere alla difficoltà principale: come costruire la Danza partendo da un soggetto pittorico senza cadere in una lettura didascalica oppure, ancor peggio, nel mettere in scena qualcosa di fumoso e incomprensibile.
Ma con Laura bisogna essere onesti, e come lei spiega chiaramente quello che le passa per la testa mentre lavora alle sue opere con una semplicità disarmante, così avrei dovuto procedere.
Ho accolto con entusiasmo questo incarico e ho coinvolto un mio amico, Riccardo Meroni. Conosciuto un anno prima a Torino nella sala di danza del centro coreografico Rettilario/Ex-balletto dell’Esperia, si è rivelato un danzatore e un artista talentuoso e creativo, su cui sapevo di poter contare. Grazie a lui ho cominciato a raccogliere le idee, partendo da una scelta di tutte le opere di Laura – che potevano emozionarci in qualche modo e costruendo una possibile relazione fra di esse. Così è nato un percorso attraverso lo spazio scenico, che potesse rispecchiare la stessa energia che si crea tra due persone che danzano insieme: abbiamo “iniziato” quindi proprio dalla Fine, da quella che ormai è una relazione compiuta. La visione del trittico di Laura Zeni scatena una reazione emotiva che non esita a diventare fisica e disarmonica: ognuno dei danzatori si muove all’interno del proprio “spazio emotivo”, proprio come Laura ritrae diversi stati d’animo all’interno dei suoi profili seriali.
Come per tutti gli individui, serve uno step ulteriore, quello che basta per entrare in sintonia e creare un’empatia: e così la danza si fa da atomizzata, a centrifuga e centripeta, vorticosa e sempre più veloce. Da questo contatto, emotivo e celebrale, nasce sempre un tipo di energia che è sempre diversa e sempre in cambiamento. Tutto ciò io e Riccardo abbiamo voluto riportarlo a livello drammaturgico e lineare, partendo dal presupposto che lo spettatore debba essere totalmente coinvolto in quello che vede, ed essere responsabilizzato dalla danza come potrebbe esserlo dalla visione di uno spettacolo di prosa, da un dramma lirico o da una performance di tanztheater.
Quello che ci ha accomunato nella creazione è la forte necessità di sperimentare e giocare con quelli che sono i reali strumenti di comunicazione con le persone e con l’ambiente che ci circonda, evitando costantemente di pretendere un’attenzione sconcertata, ma invitando le persone a dialogare con la danza o, semplicemente, di fruirne. Oggi una pratica difficile e diversificata come una performance ha bisogno di ritrovare un trait d’union nel pubblico: incuriosendolo, spingendolo a interessarsi e vedere più cose possibile, collegarle tra loro. Questo può avvenire solo raccontando qualcosa a cui un individuo possa appigliarsi e concretamente farne tesoro: un’ottima strada da seguire è quella della creazione collettiva con più canali. Non è nulla di nuovo ma qualcosa di già sentito e sperimentato intantissime direzioni, ma che spesso pecca di autoreferenzialità. Noi, con Laura, siamo partiti da un lavoro che potesse essere legato a noi stessi come individui ma anche legato a quello che è il succo della Danza, ovvero il Movimento e l’Armonia: che, a voler ben vedere, è il nodo fondamentale di qualsiasi pratica artistica, performativa e visuale.
Il lavoro di allestimento in particolare ha risentito di una forte sintonia ed entusiasmo, nel momento in cui si è trattato di raccogliere le idee e assemblare le varie parti che, a dire il vero, fino ad allora sono rimaste molto sconnesse fra loro. Se da una parte infatti ho pensato alla parte drammaturgica, dall’altra parte è stato fondamentale l’apporto coreografico di Riccardo, che mi ha stimolato a creare con una sorprendente creatività coreografica e di consapevolezza dello spazio scenico. Il nuovo obiettivo è ancora mettere la mani dentro tutto quello che è stato fatto e integrarlo con ulteriori parti: concepire il tutto come se fosse un canovaccio pronto a subire modifiche continue. In ultimo, è stato importante far entrare l’artista all’interno della parte danzata ad operare, con un ruolo resgistico e drammaturgico che comportasse un attribuzione di senso ai “disegni” di movimento.
Lo spettatore comunque potrà vedere un palco che diventa galleria museale, spazio espositivo in cui i quadri si animano e trovano un altro modo per dirci che le relazioni si creano e si costruiscono in infiniti modi e per infinite vie, ma solo grazie alla nostra permeabilità alle emozioni e alla nostra duttilità potremo renderli veramente vitali.
Grazie a chi me ne ha dato l’opportunità. Andrea Zardi