Non ha mai avuto l'opportunità di giocare in una grande squadra. Non ha mai vinto trofei nè ha mai indossato la maglia della nazionale. Inoltre, la leggenda narra che era solito fumarsi una sigaretta tra primo e secondo tempo. Ma è stato, senza alcun dubbio, uno dei più grandi attaccanti italiani degli ultimi vent'anni. Dario Hubner era un centravanti vecchio stile, di quelli che non avevano paura in area di rigore. Soprannominato 'il Bisonte' per la sua forza e capacità di scardinare le difese avversarie, ha giocato e segnato gol a grappoli in una carriera longeva e ricca di soddisfazioni personali. Idolo di provincia, da Cesena a Piacenza passando per Brescia, è stato capace di conquistare il titolo di capocannoniere in Serie C, Serie B e Serie A, insieme ad Igor Protti l'unico giocatore a detenere questo curioso record. Hubner nasce a Muggia, provincia di Trieste, il 28 Aprile 1967. Dopo una gavetta infinita tra Pievigina, Pergocrema e Fano, approda a Cesena in Serie B nel 1992 dove inizia a mettersi in mostra come un bomber infallibile e completo. Forte fisicamente, potente ma dotato anche di discreta tecnica, in cinque stagioni in bianconero realizza la bellezza di 77 reti ergendosi a idolo del 'Manuzzi' ; cinque stagioni entusiasmanti in cadetteria sempre in doppia cifra che gli consentono finalmente l'approdo nella massima serie alla soglia dei 30 anni. E il Brescia che decide di scommettere su di lui, e lui non delude le attese. L'esordio non è niente male : il trentenne Dario va subito in gol a San Siro contro l'Inter nel giorno dell'esordio di Ronaldo; a segnare però è Hubner: lancio millimetrico di un giovanissimo Pirlo, il Bisonte stoppa di coscia e di controbalzo infila nel sette lasciando impietrito Pagliuca. Va ancora meglio la settimana successiva quando rifila una tripletta alla Sampdoria. E saranno 16 i gol al suo primo campionato di A, terminato però con la retrocessione per le rondinelle. Poco male, perchè lui scende nuovamente in cadetteria per fare ciò che gli riesce meglio, ovvero riportare il Brescia in massima serie, sempre con una media-gol impressionante. Resterà a Brescia fino al 2001, avendo anche il piacere di duettare a meraviglia con Roberto Baggio, formando una coppia gol inedita che manda in visibilio il pubblico del 'Rigamonti'. A 34 anni approda a Piacenza, sempre in Serie A, lasciando presagire un finale di carriera senza acuti. Il Bisonte smentisce nuovamente tutti laureandosi capocannoniere con 24 gol a pari merito con David Trezeguet e contribuendo in maniera decisiva alla salvezza dei biancorossi; peccato che il c.t. della nazionale italiana Marcello Lippi lo ignori inspiegabilmente non convocandolo per i mondiali di Corea e Giappone del 2002 per quello che poteva essere per lo meno un premio alla sua carriera. Nella stagione 2003-04, la sua ultima in A, disputa sei mesi ad Ancona non riuscendo a graffiare e conclude la stagione a Perugia, anche qui senza lasciare il segno segnando tre gol insufficienti ad evitare la retrocessione. Riparte da Mantova nel 2004, in Serie C, tornando a far gol ed aiutando i virgiliani ad una storica promozione in Serie B, poi, giunto ormai alla soglia dei 38 anni, abbandona il professionismo senza smettere di giocare (e segnare) in Serie D e in Eccellenza disputando altri sei campionati con le maglie di Chiari, Rodengo Saiano, Orsa Corte Franca, Castel Mella e Cavenago, facendo salire a 14 il numero di squadre che lo hanno visto protagonista. Cambia la categoria, non cambia Hubner. Sempre con il vizio del fumo, ma soprattutto sempre con il vizio di bucare le reti avversarie, in tutti e campi e per tutti i gusti. Ecco chi era 'il Bisonte'.
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