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Dario Nardella: confronto tra i modelli organizzativi
Creato il 27 settembre 2013 da Leone_antonino @AntoniLeoneQuando questo processo non si realizza - ed in questi anni non è successo - i partiti perdono la propria capacità di rappresentanza e si trasformano in strutture chiuse ed autoreferenziali.
Il partito taylorista era una risposta ad una società industriale ben strutturata, con classi sociali fortemente definite, con una scarsa mobilità sociale ed una fortissima identificazione culturale tra l’individuo e la classe di appartenenza.
La cd. "società liquida" di epoca postindustriale - invece- perde queste rigidità identitarie e impone un'organizzazione molto più flessibile, aperta; orientata all’ascolto più che al proselitismo.
In questa era i partiti devono farsi carico di nuove domande di senso, facendo prevalere in questa ricerca gli strumenti di partecipazione diretta per la costruzione di una identità collettiva il più possibile plurale e accogliente.
In un contesto del genere c’è sempre meno spazio per l’oligarchia.
E' anacronistica l'idea di un gruppo ristretto di potere “illuminato”, un’avanguardia immutabile e inamovibile.
Oggi i gruppi dirigenti devono essere “sfidabili” attraverso strumenti di selezione aperti e trasparenti, solo così possono essere autorevoli.
Lo Scientific Management viene sottoposto a pesanti critiche da parte dei teorici delle relazioni umane e della scala dei bisogni umani, i quali sostenevano l’importanza dei fattori emotivi e micro-ambientali nel determinare il rendimento dei lavoratori e contestavano l’organizzazione come variabile indipendente rispetto alle risorse umane. Il modello della produzione di massa entra in crisi per tali motivi e soprattutto perché il mercato non riesce ad accogliere la produzione senza limiti delle fabbriche.
I partiti di massa, caratterizzati da grande mobilitazione e scarsa democrazia, iniziano a subire una lunga ed inarrestabile stagione di sfiducia. Che cosa non ha funzionato e quali sono la cause del rapporto di sfiducia tra i partiti ed i cittadini?
I partiti sono, oltre che organizzazioni politiche, grandi strumenti di identificazione e di rappresentanza; esistono e prosperano solo quando riescono a rispondere efficacemente a questa esigenza di identificazione.
La resistenza delle oligarchie al cambiamento ed il cattivo esempio nell’utilizzo delle risorse pubbliche hanno allontanato sensibilmente i cittadini dai partiti che vengono sempre più riconosciuti come meri strumenti di promozione individuale orientati al bene privato piuttosto che strumenti di promozione sociale e politica orientati al bene comune.
Se nella prima fase della nostra storia democratica non poteva esistere democrazia senza partiti, oggi l’esplosione di strumenti di rappresentanza diretta, l’associazionismo, l'esistenza diffusa dei comitati locali, i nuovi strumenti del web rendono possibile per un cittadino far sentire la propria voce al di là dei partiti, direi purtroppo nonostante i partiti.
In altre parole, i partiti non hanno più l’esclusiva della partecipazione, quindi o riescono a competere sul terreno della trasparenza, della capacità di rappresentanza offrendo ai cittadini uno strumento diretto per incidere nelle scelte pubbliche e per partecipare alla vita istituzionale o saranno soppiantati dalle forme di autorganizzazioni della società o da salvifici quanto velleitari movimenti personalistici.
Le persone assumono sempre più importanza nelle imprese per la conoscenza e le competenze che rappresentano. La visione dei partiti rispetto alle persone competenti come si pone?
Il problema è sempre quello. La classe dirigente dei partiti, figlia del '900, ha ereditato un metodo di selezione che è quello della cooptazione interna.
Oggi questa forma di selezione, tanto più in partiti sempre più isolati dalla società, promuovere più facilmente la fedeltà ad un capo piuttosto che la competenza.
Quanto più l’oligarchia si sente sotto attacco tanto più imbriglia il processo di selezione di nuova classe dirigente.
Le primarie stanno scardinando tutto questo offrendo a chi ha qualcosa da dire l’opportunità di farsi conoscere e sfidare il ceto politico.
Ovviamente perché forme di selezioni aperte come le primarie possano essere efficaci serve un partito che sappia dare strumenti e spazi a tutti - il neofita come il politico navigato - garantendo così il diritto dei cittadini a partecipare attivamente alla vita associativa ed istituzionale.
Il paradigma dell’impresa Tayloristica e Fordista viene superato dal sistema Toyota per merito di Eiji Toyoda e Taiichi Ohno. Gli elementi della produzione di massa sono sostituiti dalla specializzazione, dalla flessibilità, dalla produzione per piccoli lotti, dalla qualità del prodotto e dall’eliminazione degli sprechi. Nasce cosi la Lean Production che si estende nel mondo e dal settore dell’auto alle altre industrie.
I Partiti politici nel frattempo continuano ad essere pesanti e costosi grazie anche al finanziamento pubblico. Per quali motivi i partiti non hanno recepito o recepito solo in parte tale cambiamento di paradigma?
Cogliere questo cambiamento avrebbe significato perdere una buona fetta di potere mettendo all’improvviso in discussione carriere politiche fondate da sempre su uno specifico cursus honorum.
Per questo le classi dirigenti hanno continuato a comportarsi come nei partiti novecenteschi perdendo però, di anno in anno, quella base sociale che è stata la grande legittimazione delle forme partito storiche.
L’impresa e il marketing hanno capito prima di altri che gli individui chiedevano sempre più diversificazione e non omologazione, specializzazione e non generalizzazione, le identità diventavano sempre più individuali e sempre meno collettive.
Le forme flessibili di organizzazione economica e del lavoro hanno infatti ulteriormente rafforzato la struttura policentrica e fluida della società.
La sinistra ha bollato questo processo come "individualismo consumistico" combattendolo inefficacemente per qualche decennio.
In questo modo si è negata la possibilità di comprendere una trasformazione sociale in atto e di costruire una nuova identità politica riformista, plurale e libertaria.
Quasi tutti i partiti in Italia sono un’organizzazione personale e padronale che rispondono ad interessi di parte e di lobbies. Ori Brafman e Rod A. Beckstrom nella loro pubblicazione “Senza Leader” classificano le organizzazioni in due modelli: - Stella Marina; - Ragno. La stella marina non ha una testa centrale, se tagliata si replica e le decisioni provengono dai membri del corpo che cooperano. Al contrario il ragno è formato da una testa centrale, dagli occhi e dalle zampe che fuoriescono da un corpo centrale e rappresenta una struttura centralizzata e gerarchica. La testa del ragno invia comandi alle zone periferiche del corpo che vengono eseguiti senza partecipare al processo decisionale. Nelle organizzazioni complesse e nei partiti non è facile attuare il modello Stella marina perché l’organizzazione ha bisogno di identificarsi in una leadership autorevole e capace di esprimere una visione condivisa. Il suo partito potrebbe adottare le caratteristiche della stella marina per valorizzare le persone e la partecipazione alla vita democratica? E se si come?
Non esiste un'organizzazione senza una sana ed efficace leadership. Il mio partito, invece, ha troppo a lungo avuto paura di un leader ritrovandosi poi ingessato dai veti incrociati delle correnti e dei gruppi di potere.
Un leader è una persona sufficientemente autorevole e riconoscibile capace di guidare un corpo complesso come un partito assumendosi fino in fondo le scelte coraggiose da compiere, anche quando si tratta di pagare un prezzo.
Avere un leader, sia chiaro, non vuol dire negare la possibilità di dare vita ad una struttura a rete, a stella marina, ma vuol dire offrire a questa reticolare e diffusa uno strumento di identificazione e azione unitaria.
Un altro discorso è avere dei partiti capaci di sopravvivere ai suoi leaders.
Un partito moderno, aperto alla società e alle tante esperienze associative esistenti, dotato di strumenti di selezione della classe dirigente partecipati è sempre in grado di rinnovare i suoi leader e rafforzare la sua rete di partecipazione. In questo caso c'è solo l'imbarazzo della scelta.
Sono i partiti oligarchici, invece, che si identificano solo nel leader senza il quale è annullata la stessa identità collettiva.
Il leader, a sua volta, non ha alcun interesse personale ad animare e rafforzare la struttura reticolare che diventa un ricettore di ordini dall'alto ma non trasmette più input al vertice dell'organizzazione.
Troppa partecipazione, infatti, rischia di diventare una minaccia per un leader consumato invece di una fonte di legittimazione politica.
Numerosi sono gli esempi di leader riconosciuti ed innovativi che hanno portato al successo la propria impresa senza pensare di rimanere al loro posto per tutta la vita. Nei partiti cosa succede in materia di leadership? Che tipo di leadership il suo partito ha bisogno per recuperare il rapporto di fiducia con i cittadini?
In qualche modo ne abbiamo già parlato. Noi abbiamo bisogno di leadership forti, legittimati da una grande partecipazione di base, disponibili a mettere a verifica i risultati del proprio mandato con gli stessi strumenti di partecipazione.
In questo momento è anche molto forte il bisogno di una leadership nuova, giovane, non condizionata dal peso degli errori del passato.
Una leadership che rappresenti una nuova stagione.
La fiducia dei cittadini è un bene prezioso, delicato, difficile da conquistare ma che si può perdere in maniera rapidissima.
Riconquistarla significa dare segnali in controtendenza, riportare la politica a parlare lo stesso linguaggio dei cittadini condividendone sacrifici e bisogni.
Sarebbero segnali importanti riforme che riducano il peso della politica sulle spalle dei cittadini eliminando privilegi, riducendo indennità e numero dei parlamentari, eliminando il bicameralismo perfetto, mettendo un tetto alle pensioni d’oro, solo per fare alcuni esempi.
Inoltre, la fiducia dei cittadini si conquista avendo fiducia in loro e nelle loro scelte, questo avviene - prima di ogni altra cosa - dando loro la possibilità di scegliere i propri rappresentanti, cosa che tuttora il porcellum impedisce.
I partiti in Italia hanno assunto un sistema di decentramento uguale a quello delle istituzioni. In prospettiva con la eliminazione delle Provincie come dovrebbe essere organizzata la rete decentrata del suo partito? Esiste un processo di valutazione delle strutture periferiche del suo partito?
Non mi pare ci sia una discussione di questo tipo. Abbiamo a lungo sottolineato il ritardo che i partiti hanno nell’adeguarsi ai mutamenti sociali, in questo caso i partiti non sono stati in grado - nelle istituzioni - di realizzare una riforma vecchia di venti anni (quella delle città metropolitane) figuriamoci se si sono attrezzati per cambiare se stessi.
Secondo me dovrebbe valere un principio sacrosanto, per i partiti come per ognuno di noi: se vuoi il cambiamento, prima di tutto cambia te stesso.
Così se i partiti propongono una democrazia aperta, europea, federale, che faccia delle grandi realtà urbane i nodi di una rete di innovazione e sostenibilità su cui fondare la nuova Europa, prima di tutto realizzino questi progetti trasformando le proprie strutture.
Dagli studiosi di management e dalle imprese arrivano proposte ed esperienze di cambiamento: co-creare valore con i cittadini, valorizzazione delle competenze, trasparenza, comunità di passione, adattabilità e creatività, combattere la povertà realizzando profitti ed altro. Queste innovazioni se utilizzate dal partito potrebbero rivoluzionare in positivo tale organizzazione? Quale è la sua proposta di cambiamento del partito a cui appartiene?
E' così. Questa è l'era 2.0 che presuppone partecipazione, condivisione, co-working, interattività, contaminazione.
Se questo vale per le aziende, figuriamoci per i partiti.
I partiti devono essere assolutamente comunità di passioni capaci di trasformare i sogni e i desideri dei propri sostenitori in un progetto di governo, in un'idea di futuro. Devono essere capace di mobilitare tutte le risorse umane ed economiche di una Nazione verso un fine comune.
Il partito che vorremmo costruire, insieme a Matteo Renzi, è un partito che sappia farsi carico di queste aspettative coinvolgendo prima, durante e dopo, i cittadini nelle scelte principali che dovrà andare a compiere, un partito che - grazie anche alle nuove modalità di partecipazione - sappia mantenere uno stretto rapporto con cittadini senza però limitare la sua vita associativa ai soli momenti congressuali.
Un partito è un organismo comunitario e vive se quotidianamente tutti partecipano alla sua alimentazione e al suo rinnovamento. Come tutti gli organismi viventi, senza nutrimento e senza rinnovamento continuo delle sue cellule c'è solo la morte.
Si parla tanto di concorrenza e si disconosce il fatto che molte imprese non hanno concorrenti a causa del prodotto innovativo e di qualità che offrono ai consumatori. Tale strategia è presentata da W. Chan Kim e Reneè Mauborgne nel libro “Strategia oceano blu”. Al contrario nelle competizioni elettorali in Italia fino a quando non viene scrutinato l’ultimo voto non si conosce il vincitore. Il Partito Democratico sarebbe in grado di prospettare all’intero corpo elettorale una proposta talmente innovativa da non temere concorrenti e, quindi, vincere senza competere?
Fermo restando che la competizione in politica è un bene assoluto, l'alternanza è la garanzia al buon funzionamento del sistema.
Diciamo che, visti i precedenti, avere un Partito democratico in grado di vincere sarebbe già un gran bel successo. Non siamo riusciti a vincere nemmeno quando avevamo la vittoria in tasca.
Sono fermamente convinto che il PD , se saprà ritrovare le ragioni della sua fondazione e - quindi - se saprà guardare al futuro con coraggio ed entusiasmo invece che con la paura di cambiare, avrà tutte le carte in regole per vincere e tornare al governo del paese.
Dobbiamo però essere in grado di guardare a noi stessi con distacco e occhio critico, saper mettere in discussione alcuni tabù ereditati dal passato, cominciare a rivolgerci a tutta la società italiana e non solo ad alcuni settori sociali ed economici, mettere al centro dei nostri programmi il merito dando a tutti la possibilità di far valere fino in fondo le proprie capacità.
Un PD rinnovato oggi rappresenterebbe senza dubbio la proposta politica più competitiva, questo comporterebbe automaticamente una nuova fase per i nostri avversari che dovranno finalmente confrontarsi, non più su uno scontro ideologico e personalistico, ma sui contenuti e sulle proposte concrete.
A vincere alla fine - comunque vadano le elezioni - sarà certamente il nostro Paese.
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