La prof. Laura Boella è professore ordinario di Filosofia morale presso l’Università degli Studi di Milano. E’ oggi una delle maggiori studiose di Hannah Arendt, Simone Weil, Maria Zambrano e Edith Stein. Con il volume “Neuroetica. La morale prima della morale“ (Raffaello Cortina Editore 2008) si è occupata di neurobiologia, studiando le sue implicazioni filosofiche. Ha cortesemente risposto così a due nostre domande:
“Prof. Boella, la teoria di Darwin ha secondo lei la capacità di negare l’esistenza di un Creatore, così come insegnato dalla teologia cristiana? Può eventualmente contribuire in qualche modo alla riflessione filosofica e teologica?”
«Affermare o negare l’esistenza e l’opera di un Creatore necessita di percorsi filosofi o teologici ben precisi, che non si possono in alcun modo estrapolare dagli intenti descrittivi e analitici di Charles Darwin. La scienza risponde a domande specifiche e adotta un metodo corrispondente. Niente é più dannoso di una scienza (e, se si dà il caso, una filosofia) che pretenda di dare l’unica, vera risposta a tutte le domande. Ritengo che Darwin fosse una vero scienziato, e come tale osservasse scrupolosamente il particolare. Dal particolare viene una conoscenza preziosa relativa alle forme di vita e alla loro evoluzione. Ho molti più dubbi sulle generalizzzaioni tratte da tesi come quella dell’adattamento all’ambiente e della lotta per la sopravvivenza, che peraltro gli attuali studiosi dell’evoluzione hanno ampiamente riformulato. Oggi si descrive lo sviluppo della civiltà umana anche in termini di sviluppo di capacità naturali “costose”, e non semplicemente funzionali alla coesione del gruppo e alla sua autodifesa, come l’empatia. Direi che la teoria dell’evoluzione può essere considerata un quadro generale entro il quale le diverse discipline, ovviamente non solo scientifiche, devono e possono portare avanti domande, metodi e linguaggi specifici, ognuno con pari dignità».
“Secondo lei, la scienza e la fede possono essere due strumenti di conoscenza in contrasto tra loro? Oppure sono due sfere completamente separate? O, infine, ci può essere una relazione collaborativa tra loro?”
«Scienza e fede appartengono a due campi distinti dell’esperienza. Tra di esse c’é passaggio e relazione sul piano conoscitivo, ma c’é salto sul piano spirituale. Ritengo che l’esperienza della trascendenza non possa essere ricondotta a nessun modello di attività mentale, bensì che essa implichi un “mettersi nelle mani”, un “affidarsi” che ha trovato, almeno a mio parere, perfetta espressione nella “notte oscura” di san Giovanni della Croce. Distinzione dunque che é relazione tra piani che hanno ognuno una logica di esperienza autonoma. Sarebbe auspicabile una specie di compresenza degli opposti nell’esperienza, che non tolga nulla alla realtà vitale, anche se ciò implica constatarne a volte l’insensatezza, e insieme la tenga aperta per un altro piano, quello della trascendenza».