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Darwin e l'evoluzione dei "Nativi Digitali"...

Da Roberto Romano
Darwin l'evoluzione
Prendo spunto da un interessante articolo pubblicato da “La Stampa” lo scorso Dicembre, Il mito dei nativi digitali, a firma di Alessandro D'Avenia,  per parlare di una definizione  molto di moda negli ultimi tempi, espressione di un concetto controverso e ampiamente dibattuto.
La definizione di nativo digitale è descritta su Wikipedia come "espressione che viene applicata ad una persona che è cresciuta con le tecnologie digitali come i computer, Internet, telefoni cellulari e MP3. L'espressione è stata coniata da Marc Prensky nel suo articolo Digital Natives, Digital Immigrants pubblicato nel 2001".
Nell'articolo, Prensky parla di nuovi modi in cui gli appartenenti alle ultime due decadi di quella che i sociologi hanno definito Generazione Y (i nati dagli anni 80 ai primi anni 2000) acquisiscono, elaborano ed organizzano le informazioni e dunque, in estrema sintesi, apprendono.
Nel suo articolo, Alessandro D'Avenia critica l'approccio di Prensky e nega la sbandierata evoluzione delle capacità cognitive nei nativi digitali; sostiene che l'unica differenza nella capacità di utilizzare le moderne tecnologie dell'informazione e comunicazione non è generazionale e/o di origine neurobiologica ma si deve, semplicemente, all'utilizzo più o meno intenso delle tecnologie. D'Avenia afferma (spero che l'autore e i lettori perdonino questa mia lunga citazione) che: "il nativo digitale è il volto che abbiamo dato ad una paura: la rapidità del progresso di questi anni e dei ritmi di vita a cui siamo sottoposti che porta il dialogo tra le generazioni, già di per sé arduo, ad incepparsi di più. Il mito, una volta smitizzato, ci porta faccia a faccia con il mostro: non ci capiamo e ci capiamo sempre meno perchè andiamo velocissimo" e ancora: "il mostro è la nostra mancanza di disponibilità ad ascoltare, a dedicare  tempo di qualità, a frenare la rapidità dei nostri impegni di lavoro, a fare una passeggiata calma, a giocare con i bambini e leggere loro storie, a dialogare con i ragazzi".
Molti punti toccati da D'Avenia li condivido: nella mia esperienza con i ragazzi ho imparato come ciò che spesso è scambiata per bravura - soprattutto da chi non ha dimestichezza con le risorse che la Rete ci mette a disposizione e con i moderni dispositivi di accesso ad essa - in realtà è…rapidità. E' vero che un tredicenne sa scrivere un SMS in 10 secondi, quando un “immigrato digitale” non aduso alle tastiere di uno schermo touchscreen ne impiegherebbe 40 o forse più (è anche vero che l'SMS digitato dal "nativo" sarà molto più corto, a causa del largo uso di parole contratte e ripetute violenze sulla lingua italiana, ma sorvoliamo). Il problema è che mi capita spesso di incontrare ragazzi – non solo adolescenti  ma anche universitari – che non sanno neanche usare la barra degli indirizzi di un Web Browser. Per loro navigare su Internet significa andare su Google (e la prima difficoltà arriva quando Google non è impostato come pagina d'apertura del browser) per cercare il sito che si vuol visitare. Lavoro in un Dipartimento Universitario e, quando ci sono test da svolgere in aula informatica, scriviamo sempre istruzioni sulla lavagna che iniziano con: “aprire il browser (anzi: "aprire Internet Explorer o Mozilla Firefox" poiché non tutti sanno cosa significhi "browser") e portarsi su: http://test.sitoweb.it". Bene, gli errori più frequenti sono: 
  1. Cercare su Google "test.sitoweb.it" (che, tra l’altro, essendo una risorsa intranet non è indicizzata su Google);
  2. Digitare sulla barra degli indirizzi www.test.sitoweb.it,  perché www viene scritto sempre e comunque;
  3. Digitare sulla barra degli indirizzi http:// http:/test.sitoweb.it  perché non ci si accorge che http:// è inserito in automatico dal browser.
Mi capita altresì piuttosto spesso di vedere PC di ragazzi tra i 10 ed i 30 anni senza antivirus, o con antivirus scaduti o non aggiornati, o con centinaia di aggiornamenti di Windows non effettuati perché “mi rallentano il computer”. Allo stesso modo, tablet e smartphone sono pieni di app “curiose”, invadenti ed invasivi adware che aprono continuamente banner pubblicitari sullo schermo ed occupano innumerevoli risorse, tanto che la soluzione diventa: “devo cambiare smartphone/tablet perché questo è troppo lento”.Tutto ciò per dire che queste sono le medesime problematiche che un immigrato digitale incontra nel suo quotidiano rapporto con un PC o uno smartphone,  né più né meno.
Certo, la giovane età favorisce l’apprendimento: da giovani si è più predisposti ad imparare cose nuove, mentre arrivati agli "anta" la voglia di apprendere scema un po’. Ma questo accade da sempre, non è la novità del ventunesimo secolo. Dunque dice bene D'Avenia quando afferma che anche i nativi digitali, se si tratta di utilizzi più impegnativi, hanno bisogno di aiuto con le nuove tecnologie. Da questo quadro si discostano quelli che D’Avenia definisce smanettoni (“persona che utilizza il computer con abilità”), ovvero tutti coloro che rientrano nelle categorie dei Geek o dei Nerd. Ma in queste categorie troviamo  appartenenti a più generazioni - Steve Jobs, nerd per eccellenza, è nato nel 1955 - dunque, anche in questo caso, non si tratta di un fatto generazionale (guardate, se potete, l'interessantissimo documentario "Triumph of the Nerds" con interviste a personaggi del calibro di Steve Jobs, Steve Wozniak, Bill Gates, Steve Ballmer, Paul Allen, etc).
Certo, alcune differenze ci sono e sono evidenti: c'è un'innegabile propensione ad un utilizzo massivo di social network ed instant messaging da parte dei nativi digitali. I giovani non usano più il telefono, usano poco la posta elettronica, ma scambiano continuamente messaggi con Whatsapp e simili. In USA recenti ricerche hanno evidenziato che lo stesso Facebook inizia ad essere snobbato, a favore di altre piattaforme social più “instant” (sarà per questo che Mark "Facebook" Zuckerberg ha acquisito Whatsapp?).  La generazione precedente, quella che i sociologi definiscono con la X, è ancora affezionata alla vecchia cornetta e meno incline all’uso di IM. Inoltre, c’è sicuramente una maggior predisposizione al multitasking "umano": per semplificare, chi non ha mai visto un adolescente che, mentre studia, ascolta musica con l’iPod e manda messaggi con Whatsapp?
Forse Prensky azzarda un po' quando scrive che una delle differenziazioni tra nativi ed immigranti digitali è nel diverso approccio mentale che hanno verso le nuove tecnologie: ad esempio, un nativo digitale parlerà della sua nuova macchina fotografica (senza definirne la tipologia tecnologica), mentre un immigrato digitale parlerà della sua nuova macchina fotografica digitale, in contrapposizione alla macchina fotografica con pellicola chimica utilizzata in precedenza. Cosa si vuol dimostrare? Per mio nonno il fazzoletto era di stoffa e chiamava fazzoletto di carta quello usa e getta, che io chiamo semplicemente fazzoletto: ho forse una maggior dimestichezza nell’usarlo o nel comprenderne l'uso? 
Sia chiaro che Prensky non è certo l’ultimo arrivato. Non è un semplice "sviluppatore di videogiochi”, come lo definisce D'Avenia: è autore si di videogiochi, ma finalizzati all'educazione e all'apprendimento; è autore di libri sull'argomento, come "Digital Game-Based Learning" (McGraw-Hill, 2001); è fondatore e CEO di "Games2train", che sviluppa applicazioni ludiche per la didattica e l'insegnamento e di "The Digital Multiplier", un'organizzazione che ha lo scopo di combattere il Digital Divide dell'apprendimento.
Ma, come scrive anche D'Avenia e al contrario di ciò che afferma Prensky, non ci sono ad oggi prove scientifiche che: "i cervelli dei nostri studenti sono fisicamente cambiati,  sono diversi dai nostri, come conseguenza di come essi sono cresciuti". Io credo che sia cambiato il modo di acquisire ed organizzare le informazioni da parte dei nativi digitali, ma ciò non per una qualche abnorme e rapidissima evoluzione darwiniana. Anche un appartenente alla generazione X può imparare e migliorare l'uso delle risorse messe a disposizione dalle moderne ICT, esattamente come un immigrato impara la lingua del Paese in cui va a vivere, talvolta meglio di chi in quel Paese è nato e cresciuto.
Prensky afferma che: "come risultato della loro esperienza i nativi digitali bramano l'interattività, cercano una risposta immediata alle loro azioni"  e sono d’accordo quando scrive che: "dobbiamo inventare metodi d'insegnamento per i nativi digitali, a tutti i livelli, utilizzando i nostri studenti per guidarci".E può anche darsi che quest'ultimo abbia ragione, quando afferma che: "gli studenti di oggi non sono più il popolo per il quale il nostro sistema educativo è stato progettato". Ma l'interpretazione che io do è che, come affermano Sameer Hinduja, e Justin W. Patchin nel loro articolo Comunicare con gli studenti on-line: "dobbiamo essere consapevoli del fatto che questo è il modo con cui i giovani comunicano al giorno d’oggi [...] Se gli adulti vogliono dialogare con i ragazzi, devono adottare alcune di queste tecnologie, in modo prudente e professionale. Ciò può aprire canali di comunicazione  che prima non esistevano".
Dunque, usiamo Internet e tecnologie connesse non perché è "obsoleto" l’uso della parola orale o perché un tablet può diventare un sostituto di un libro o Wikipedia di un insegnante, ma perché le ICT possono essere un importante e validissimo ausilio, se usate da chi ha ancora un cervello in grado di gestirle saggiamente.
  • L'articolo di Alessandro D'Avenia è disponibile sul suo Blog
  • L'articolo di Marc Prensky è disponibile sul suo sito: parte 1 - parte 2

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