Ho letto ieri sera un interessante libricino: Beating Goliath. Why Insurgencies Win (Potomac Books, 2007), dell’analista strategico Jeffrey Record. Non si parla di Turchia, ma prevalentemente di Usa e Iraq: e più in generale di guerre asimmetriche tra stati e attori non statali. La domanda a cui Record prova a dare una risposta è: quali sono i fattori che determinano la vittoria del contendente più debole negli scontri anche con grandi potenze (Algeria, Vietnam, Somalia etc etc)? Gli elementi in gioco sono cinque: la forza (materiale), la volontà (politica, soprattutto di accettare perdite), la strategia (diretta o indiretta, convenzionale o legata a guerriglia e terrorismo), il tipo di sistema politico (democrazia o dittatura), soprattutto il sostegno dall’esterno che secondo Record è quello di maggior rilievo; anche se, in effetti, la raccomandazione di fondo per gli stati è di puntare al compromesso politico – le insurrezioni nascono sempre da rivendicazioni politiche – e di fare un uso sempre moderato e mai indiscriminato – cioè, “barbarico” – della forza. Non è forse l’approccio della Turchia in questa fase storica, a partire dal 2009? Apertura politica, uso moderato della forza senza coinvolgere i, neutralizzazione dei santuari in Iraq e accordo ci cooperazione con l’Iran, offensiva sempre politica nei confronti della diaspora curda in Europa (raccolta fondi, propaganda) che sostiene il Pkk; in contrasto, invece, ci sono le ondate di arresti degli attivisti del Kck e la rottura con la Siria. Chi prevarrà?
Magazine Attualità
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