Quando facevo le superiori, parecchi anni fa, ricordo che nelle prime pagine del libro di storia veniva descritta la nascita della vita. A senso: la terra è grande e ci sono tanti pianeti come la terra, prendi alcuni elementi chimici base, mischiali con scosse elettriche per milioni di anni, e “ovviamente” prima o poi salterà fuori una cellula capace di riprodursi. La vita. Questa in sintesi è la teoria dell’abiogenesi, la nascita della vita a partire dalla non vita (a-bio-genesi).
L’immagine associata nel testo scolastico era il celeberrimo esperimento di Miller-Urey, dal nome dei chimici che nel 1953 riprodussero in provette la superficie e atmosfera terrestre primordiale, misero il tutto a bollire a fuoco lento per alcuni giorni, e alla fine trovarono nel circuito amminoacidi. Che mischia e rimischia, portano al brodo primordiale di proteine. Che mischia e rimischia, portano alla cellula vivente. Una spiegazione che, lo confesso, all’epoca mi lasciò intellettualmente appagato, ma religiosamente irrequieto.
E Dio, la creazione, la Genesi? “Sire, non ho bisogno di questa ipotesi”, come disse Laplace a Napoleone. Forse era questa anche la tacita conseguenza del mio libro di testo. Fatto sta che poi la ricerca scientifica è andata avanti, e i nodi sono venuti al pettine, sotto vari aspetti.
In primo luogo, l’esperimento di Miller-Urey non include il fattore dei molto energetici raggi ultravioletti, capaci di ricombinare i legami tra le molecole. E nel caso di esseri viventi, capaci di portare all’uccisione di cellule e organismi, dunque non a caso usati nella sterilizzazione. Se oggi non moriamo di cancro (conseguenza di una ricombinazione caotica del DNA cellulare) dopo che ci siamo appena affacciati dalla porta è perché c’è lo scudo di ozono che li scherma, che deriva dalla combinazione delle molecole d’ossigeno, che derivano dall’azione di alghe e piante. Scudo di ozono ovviamente non presente nella terra primordiale.
In secondo luogo, l’ambiente della terra primordiale era estremamente acido e riducente. Vale a dire che, complice l’attività vulcanica, erano in circolazione molti composti chimici (mai sentito parlare dell’acido solforico?) capaci di aggredire le strutture complesse e spezzettarle, o meglio distruggerle, in più semplici. Per capire l’importanza di questi due fattori pensiamo di voler costruire un castello di carte da gioco. Ma siamo costretti a farlo sotto una violenta grandinata (raggi ultravioletti). Con un amico che simpaticamente scuote il tavolo sotto al castello (ambiente acido).
In terzo luogo, riproduzioni più recenti del pionieristico esperimento del ’53, che secondo gli autori aveva prodotto 11 dei 20 amminoacidi di base fondamentali per la vita, hanno prodotto più di 40 amminoacidi. E si potrà dire: allora è più facile che nasca la vita per caso, con più cose in circolazione da rimescolare. Eh no. Prova a dare a un bimbo delle tessere con le sole lettere A e M: prima o poi accostandole a caso salterà fuori “MAMMA”. Ma prova a dargli le tessere con l’intero alfabeto, con anche per esempio le tessere dell’alfabeto ebraico. Non sarà altrettanto facile.
In quarto luogo, col progresso delle conoscenze biologiche, anche una sola semplice cellula vivente capace di riprodursi si è scoperto che poi tanto semplice non deve essere. In realtà la vita è incredibilmente complessa, anche nelle sue forme primordiali e basilari. È questo il tema del recente (2013) articolo del bioscienziato parmense Giorgio Dieci pubblicato su Euresis Journal, dal titolo traducibile La vita sfuggente. Efficacia e insufficienza della biologia meccanicistica. Un contributo forse non facile per le precisazioni specialistiche e teoriche che offre, ma capace di offrire una riflessione sinergica tra la biologia e la filosofia, e più in là (anche se tacita) la teologia. Un contributo del quale alcuni schemi sui basilari funzionamenti cellulari (figure 1, 2, 3), nella misura in cui destano disorientamento e incomprensione, portano all’intuitiva convinzione: la vita non può essere originata dal caso!
Volendo si può trattare di una riproposizione in altre parole del famoso argomento del Boeing: i pezzi di un aereo smontato in un hangar, se investiti da un tornado che li assembla casualmente, quando mai produrranno l’aereo assemblato e funzionante? Allo stesso modo è improbabile che la vita derivi dal caso. La risposta dell’ateo Dawkins (basta presupporre infiniti hangar e pezzi di aereo, cioè infiniti universi paralleli, e l’improbabilità si avvererà) è una palese e fantascientifica violazione del principio di Occam: Non bisogna moltiplicare gli enti senza necessità.
In definitiva voler spiegare l’origine della vita (e dell’universo e di tutto quanto) col solo caso è una soluzione che razionalmente, e non solo fideisticamente, lascia parecchio perplessi. Non è un caso che la voce Abiogensi sulla wiki inglese riporti alcune decine di teorie: quando ci sono tante teorie è segno che nessuna funziona bene.
Con tutto questo non si vuole certo ricondurre la questione a un semplicistico creazionismo, alla maniera p.es. di molte confessioni protestanti fondamentaliste. La geologia mostra scientificamente che la terra ha miliardi di anni, l’archeologia mostra che c’è stata l’evoluzione, la genetica mostra i possibili meccanismi evolutivi biologici. Il punto è che non bisogna cadere nell’estremismo scientista e riduzionista, come anche nell’opposto estremismo creazionista. Razionalmente si intuisce che c’è stato qualcuno che ha guidato per mano il cosmo fino a dove ci troviamo ora, una guida intelligente, lenta, paziente.
Una risposta che soddisfa fede e ragione rimanda a un intervento soprannaturale, divino, come chiaramente chiarisce la quinta via sull’esistenza di Dio di San Tommaso (Summa Teologica, I, q. 2, a. 3): “La quinta via si desume dal governo delle cose. Noi vediamo che alcune cose, le quali sono prive di conoscenza, cioè i corpi fisici, operano per un fine, come appare dal fatto che esse operano sempre o quasi sempre allo stesso modo per conseguire la perfezione: donde appare che non a caso, ma per una predisposizione raggiungono il loro fine. Ora, ciò che è privo d’intelligenza non tende al fine se non perché è diretto da un essere conoscitivo e intelligente, come la freccia dall’arciere. Vi è dunque un qualche essere intelligente, dal quale tutte le cose naturali sono ordinate a un fine: e quest’essere chiamiamo Dio”.
Di questo avviso era anche l’ex ateo Antony Flew (m. 2010), il quale nel suo ultimo e celebre manifesto Dio esiste. Come l’ateo più famoso del mondo ha cambiato idea (2007), riportando i pareri di diversi scienziati, ammetteva: “Non sappiamo come iniziò la vita su questo pianeta. Non sappiamo esattamente quando iniziò e sotto quali circostanze”; “Come precisamente il primo macchinario genetico si evolse resta ancora un mistero irrisolto”; “Noi scegliamo di credere all’impossibile, che la vita sorse spontaneamente per caso”, concludendo: “L’unica spiegazione soddisfacente dell’origine di una vita così, ossia orientata verso un fine e auto-replicante come la vediamo sulla terra, è una Mente infinitamente intelligente” (tr. it. 2010, pp. 135-136). E quest’essere chiamiamo Dio.