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Dalla copertina di una rivista di moda occhieggia la foto di una top model vampira. Quest'immagine, che compare durante i titoli di testa, rende bene l'intrico di bizzarria e normalità su cui è costruito “Daybreakers – L'ultimo vampiro”, scritto e diretto dai fratelli Spierig.
Siamo nel 2019. Un'epidemia ha trasformato in vampiri il 95% della popolazione, e il mondo è diventato loro; il restante 5% umano si nasconde per non venire dissanguato. E' solo ovvio che il mondo vampiro stia affrontando una paurosa crisi alimentare, data la carenza di sangue umano; infatti quando i vampiri non riescono a nutrirsi (o si nutrono del sangue di altri vampiri o per disperazione del proprio) diventano assassini (in scene reminiscenti di George A. Romero) e si trasformano in mostri chiamati subsiders.
Mentre l'industria cerca di creare un sangue sintetico, i militari si occupano della faccenda a modo loro. Il massacro dei subsiders catturati – incatenati a un veicolo e trascinati fuori sotto il sole che li brucia – rappresenta la scena memorabile del film. Potrebbe benissimo appartenere a una versione cinematografica seria (idest, non la recente porcata con Will Smith) di “I Am Legend” di Richard Matheson - e non a caso, visto che quello è il testo che ha ispirato il presente film, sia pur rovesciandone il punto di vista.
Un racconto realistico (sia pure il realismo caricaturale di James Bond) possiede un suo universo “già dato”: il nostro. Invece una storia fantasy richiede un universo diegetico apposito, completo della sua storia - o, come ha detto qualcuno in modo più semplice, un “paesaggio-situazione”. Di fronte alla domanda “Come sarebbe un'America popolata di vampiri anziché di umani?”, i fratelli Spierig si sono sbizzarriti, con logica ammirevole. Fra un grattacielo e l'altro si stendono gallerie di passaggio per evitare la luce del sole. Per lo stesso motivo le automobili hanno dei pannelli automatici che di giorno si chiudono, e per guidare si usa un teleschermo. I classici chioschi della metropolitana, che nel nostro mondo vendono caffè e cappuccino in bicchieri di cartone, vendono le stesse bevande - ma corrette al sangue.
Il racconto s'incentra sul vampiro riluttante Edward, che non è felice di essere stato trasformato, e lavora alla ricerca del prodotto sintetico per l'industria del sangue (le cupe immagini di piramidi di esseri umani nudi legati e dissanguati lentamente ricordano il primo “Matrix”). Dopo un incontro con la resistenza umana clandestina, che gli fa conoscere un ex vampiro imprevedibilmente guarito e tornato umano, si convince che la soluzione non è il sangue sintetico ma la “devampirizzazione” dell'umanità. Il suo boss però non è d'accordo: si guadagnerebbe di meno...
Sebbene il film assuma tutto il folklore vampirico (v'è nella parte iniziale un'inquadratura inquietante quando in uno specchio si riflettono i vestiti del protagonista ma non il suo corpo), “Daybreakers” è molto più vicino al political thriller che all'horror. Il suo sforzo di “tradurre” l'America attuale nell'America vampiresca sottolinea più le analogie che le differenze. Edward è aiutato da un senatore nero progressista che fa pensare a un Obama vampiro; ai disordini nella metropolitana dà inizio il più tipico degli americani medi (solo che protesta perché nel suo caffè non c'è abbastanza sangue); i discorsi dei cittadini impauriti dai subsiders sono modellati su quelli autentici relativi ad altre minacce.
Il problema del film è appunto che il contesto, l'universo diegetico inventato, finisce per risultare più interessante della storia – che narra l'inizio della fine di questo universo. Non è colpa dei fratelli Spierig; ovviamente un film dev'essere una peripezia dinamica, non una descrizione statica. Ma forse “Daybreakers” sarebbe venuto meglio come miniserie televisiva: perché in più ore sarebbe stato possibile sviluppare ancor più il disegno di questa VampAmerica così gustosamente descritta che quasi ci dispiace che Edward trovi la cura.
(Il Nuovo FVG)
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