Se l’Italia non crea filiere industriali per le tecnologie avanzate (come i pannelli fotovoltaici) dovrà importarle peggiorando il proprio deficit commerciale
di Daniela Palma, da Greenreport.it
Infine sono puntualmente arrivati: i dazi sui pannelli fotovoltaici importati dalla Cina annunciati dalla Commissione nell’autunno scorso, sono divenuti realtà (ancorché “provvisoria”, stando ai comunicati ufficiali). L’applicazione sarà graduale (11,8% fino al 6 agosto e 47,6% successivamente), mentre si afferma che l’Europa continuerà sulla linea del dialogo con l’economia del dragone per delineare i contorni di una rinnovata partnership commerciale nel settore. Anche se il tempo stringe, poiché entro dicembre l’Ue deciderà se imporre eventuali dazi definitivi.
Una vicenda, questa, che passa quasi in sordina rispetto alle questioni che si stanno dibattendo per la risoluzione della crisi dell’eurozona. Mentre invece dovrebbe essere considerata con maggiore attenzione, ricordando che è sulle prospettive di sviluppo dei diversi paesi che si gioca l’uscita dalla crisi, e che rispetto ad esse un ruolo fondamentale è svolto dalla trasformazione del paradigma energetico.
Il ricorso alle fonti rinnovabili ha infatti determinato una svolta epocale dallo sfruttamento di risorse collocate in precise aree geo-economiche all’utilizzo di tecnologie per la produzione di energia da fonti liberamente disponibili e ovunque diffuse. Nel nuovo contesto è divenuta dunque centrale la capacità di sviluppare nuove tecnologie, che rendano la produzione energetica da fonti rinnovabili sempre più competitiva rispetto a quella da fonti fossili. E il corollario è che i paesi che non le producono dovranno importarle da quelli che intorno ad esse hanno creato delle vere e proprie filiere industriali.
Il fotovoltaico rappresenta un nodo centrale del cambiamento in atto: nell’ultimo quinquennio la produzione di energia fotovoltaica è cresciuta esponenzialmente, così come sono cresciuti gli investimenti per la produzione di pannelli, mirando a ridurne i costi attraverso un costante impegno in ricerca e innovazione. In questo campo le economie asiatiche hanno presto assunto una posizione di leadership, facendo leva sulle competenze accumulate nell’elettronica e nell’informatica; la Cina, ormai al suo decollo industriale – e sempre più protesa a dar vita ad una industria specializzata in settori tecnologicamente avanzati – ha colto al volo questa straordinaria opportunità.
L’Europa dal canto suo si presenta invece in ordine sparso relativamente all’assetto del suo tessuto industriale: i settori tecnologicamente avanzati risultano infatti preminenti nelle economie scandinave, in Germania e (parzialmente) in Francia e in alcune piccole economie nordiche (come l’Olanda). Ma è soprattutto la Germania ad avere investito nel fotovoltaico, conseguendo un primato al momento indiscusso. Non stupisce allora che la questione di porre dazi sui pannelli provenienti dalla Cina, ancorché condivisa da diversi paesi europei, sia stata portata all’attenzione della Commissione europea proprio da un gruppo tedesco, SolarWorld.
La Germania è già esportatrice di pannelli fotovoltaici nell’area europea, ma al tempo stesso ne importa dalla Cina. L’applicazione dei dazi tenderà dunque a favorire l’industria tedesca, incrementandone il surplus commerciale e la sudditanza di paesi come l’Italia che, avendo promosso la diffusione dell’energia fotovoltaica ma non la nascita di un’industria, ha iniziato ad accumulare crescenti deficit commerciali nel settore.
Siamo dunque di fronte all’ennesima distorsione che tende ad acuire i problemi europei: la presenza di crescenti deficit commerciali nei paesi più deboli (tra cui l’Italia), crea infatti tensioni dal punto di vista del debito complessivo che questi paesi hanno, oltre a determinare un “vincolo estero” più stringente che frena lo sviluppo che sarebbe necessario. Mentre la Germania continua a farla da padrona.
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