Sono tra quanti, due anni fa (e poco più), si lasciarono travolgere dal ciclone Obama, dalla sua capacità di oratore, dal fascino dell’uomo oltre che del politico. Un “fervente obamiano”, mi sono definito ieri. Epperò, può suonare come una contraddizione in termini ma giuro che non lo è, non ho mai troppo sopportato la retorica pro Obama. Voglio dire (l’ho spiegato già in due precedenti occasioni): Obama è pur sempre un presidente degli Stati Uniti, non un messia. Questa è la premessa, andiamo oltre. Non ho mai compreso – all’indomani della sua elezione o dopo il raggiungimento di una qualche “storica” riforma – la gioia smisurata, quasi fosse nostrana la vittoria, di tanti obamiani convinti. Figurarsi, poi, se sono mai riuscito a comprendere l’esultanza di esponenti del Partito democratico italiano (ricordo persino manifesti ad hoc del Pd). Allo stesso modo, dunque, non riesco a giustificare in alcuni l’entusiasmo (esagerato) per una vittoria scontata e fisiologica del Gop. Non significa molto di più di ciò che non si sappia: qualche grana per l’attuale amministrazione (che intanto ha salvaguardato le riforme varate sinora grazie alla seppur minima maggioranza che i democratici hanno ottenuto al Senato). Sia chiaro: non sto dicendo che Obama nel 2012 verrà certamente confermato presidente degli Stati Uniti come riuscì a Clinton in una situazione analoga nel 1996. Tante sono ancora le faccende in ballo. Sto sottolineando, però, che dalle nostre parti poco è cambiato rispetto a ieri. E che negli Stati Uniti le elezioni di metà mandato, quasi sistematicamente, sono avverse al presidente in carica. Palla al centro, si ricomincia.
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Sono tra quanti, due anni fa (e poco più), si lasciarono travolgere dal ciclone Obama, dalla sua capacità di oratore, dal fascino dell’uomo oltre che del politico. Un “fervente obamiano”, mi sono definito ieri. Epperò, può suonare come una contraddizione in termini ma giuro che non lo è, non ho mai troppo sopportato la retorica pro Obama. Voglio dire (l’ho spiegato già in due precedenti occasioni): Obama è pur sempre un presidente degli Stati Uniti, non un messia. Questa è la premessa, andiamo oltre. Non ho mai compreso – all’indomani della sua elezione o dopo il raggiungimento di una qualche “storica” riforma – la gioia smisurata, quasi fosse nostrana la vittoria, di tanti obamiani convinti. Figurarsi, poi, se sono mai riuscito a comprendere l’esultanza di esponenti del Partito democratico italiano (ricordo persino manifesti ad hoc del Pd). Allo stesso modo, dunque, non riesco a giustificare in alcuni l’entusiasmo (esagerato) per una vittoria scontata e fisiologica del Gop. Non significa molto di più di ciò che non si sappia: qualche grana per l’attuale amministrazione (che intanto ha salvaguardato le riforme varate sinora grazie alla seppur minima maggioranza che i democratici hanno ottenuto al Senato). Sia chiaro: non sto dicendo che Obama nel 2012 verrà certamente confermato presidente degli Stati Uniti come riuscì a Clinton in una situazione analoga nel 1996. Tante sono ancora le faccende in ballo. Sto sottolineando, però, che dalle nostre parti poco è cambiato rispetto a ieri. E che negli Stati Uniti le elezioni di metà mandato, quasi sistematicamente, sono avverse al presidente in carica. Palla al centro, si ricomincia.
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