Chi sia Carlo De Benedetti, è noto ai più. Colui che, entrato in Fiat, ha cercato di sfilarla agli Agnelli, i quali l’hanno sbattuto fuori senza complimenti. Acquistata la Olivetti, l’ha spolpata fino a portarla al fallimento. Entrato nel Banco Ambrosiano di Calvi ed accortosi di quanto stava accadendo, ha ricattato quest’ultimo facendosi liquidare con 60 miliardi: condannato in primo grado ad oltre sei anni, l’ha passata liscia per prescrizione. Che, come gli anti-berlusconiani sanno bene e ripetono ancora meglio, non è assoluzione. Si può dire che lo squalo del capitalismo italiano abbia portato a termine il suo miglior affare con l’acquisto della tessera n. 1 del Pd, investimento che gli potrebbe rendere 560 milioni grazie alla complicità di una Procura che sembra proprio simpatizzare per quella parte politica.
Gli “intrallazzi” tra De Benedetti e il centro-sinistra durano in realtà da anni. E spesso sono stati sinonimo di grandi e oscure manovre, soprattutto con Prodi presidente dell’Iri e poi premier.
La complicità tra Romano Prodi e Carlo De Benedetti inizia nel luglio 1982, quando il primo è nominato presidente dell’Iri, il più grande ente economico statale, proprio nell’attico dell’Ingegnere, suo grande amico. Il tutto su indicazione di Ciriaco De Mita. Per 7 anni Romano Prodi guida l’Iri italiano, concedendo pure incarichi miliardari alla sua società di consulenza “Nomisma”, con un evidente conflitto di interessi. Al termine dei 7 anni prodiani il patrimonio dell’Iri sarà dimezzato a causa della cessione di importanti gruppi quali Alfa Romeo e Fiat.
Nel 1985 Prodi, con un contrattino di appena 4 pagine (anzichè centinaia come si usa abitualmente) a trattativa privata, tenta di svendere il più grande gruppo alimentare dello Stato, la Sme, alla Buitoni di De Benedetti per soli 497 miliardi di vecchie lire. La Sme all’epoca ha nelle proprie casse più di 600 miliardi di denaro liquido, ed il suo valore globale è di ben 3.100 miliardi. Bettino Craxi, allora presidente del Consiglio, si oppone con fermezza alla svendita. Nel maggio dello stesso anno la Fininvest di Berlusconi, con la Barilla e la Ferrero, propone un’offerta superiore. Arrivano altre cordate e il regalo di Prodi a De Benedetti è scongiurato. L’Ingegnere però insiste: pretende in tribunale che l’intesa sia riconosciuta come un contratto impegnativo per l’Iri. Gli danno torto tre gradi di giudizio, fino alla Cassazione, ossia ben 15 magistrati all’unanimità. Nonostante questo, il pm Francesco Saverio Borrelli, diventato famoso per Mani Pulite, decide di incriminare penalmente Silvio Berlusconi e la Fininvest sulla base del sospetto che la decisione dei giudici sia stata influenzata da un versamento di tangenti, da parte della Fininvest, al magistrato Filippo Verde e all’ex capo dei Gip di Roma Renato Squillante. Un’inchiesta partita in seguito alle rivelazioni di Stefania Ariosto, esattamente come accaduto per il lodo Mondadori. Nel 2004 Berlusconi è assolto per non aver commesso il fatto. Il 30 novembre 2006 la Corte di Cassazione stabilisce infine che la Procura milanese non avrebbe mai dovuto iniziare le indagini, in quanto non competente, ed annulla le sentenze emesse dal Tribunale di Milano. Per la cronaca, negli anni ’90 la Sme sarà ceduta a pezzi, per un totale di 2.500 miliardi. Un po’ più di 497.
Gli affari tra De Benedetti e Prodi continuano, e vanno finalmente a buon fine, quando quest’ultimo diventa presidente del Consiglio. Nel 1997 il governo Prodi svende Infostrada, di proprietà dello Stato, a De Benedetti per 700 miliardi di lire spalmabili in ben 14 anni. De Benedetti rivende Infostrada immediatamente, dopo aver pagato solo la prima rata, alla tedesca Mannesmann (società che era entrata nel capitale Olivetti, casualmente) per 15.388 miliardi: più di 20 volte il prezzo d’acquisto
Non basta: nel 2001, quando ancora c’è il governo di centro-sinistra in carica, l’Enel, azienda il cui azionista di riferimento è il ministero dell’economia e quindi lo Stato, riacquista Infostrada dalla Mannesmann, nel frattempo fusasi con la Vodafone, alla cifra di 16.500 miliardi di lire http://www.01net.it/articoli/0,1254,1_ART_10886,00.html. Con la “privatizzazione” di Infostrada, voluta da Prodi, lo Stato fa un “affarone”: a conti fatti sborsa 15.800 miliardi di lire, di cui 15.388 finiscono nelle tasche di De Benedetti (bello guadagnare così!) e 500 in Germania nelle casse della Mannesmann. Ufficialmente, sia chiaro, in quanto in realtà, per quanto riguarda l’acquisizione di Infostrada da parte dell’Enel, si parla di cifre maggiori: 22.000 miliardi, come da preaccordo, versati alla Mannesmann. In questo caso il prelievo dalle casse statali sarebbe di circa 21.300 miliardi. Il manager di Infostrada, Lorenzo Necci, prova ad opporsi in tutti i modi a questo ladrocinio ai danni delle casse pubbliche, ma è subito incriminato, incarcerato, esposto alla forche caudine dei giornali della sinistra, in gran parte di proprietà di De Benedetti stesso. E poi, ovviamente, assolto dopo una lunga ed interminabile persecuzione giudiziaria http://www.ilsussidiario.net/News/Cose-non-dette/2010/10/27/INCHIESTA-5-Conti-alla-mano-ecco-chi-ha-guadagnato-dalla-privatizzazione-di-Infostrada/3/122249/. Questo è quello che di solito succede a chi mette i bastoni tra le ruote a De Benedetti, come si può ben notare. A dire il vero, Lorenzo Necci fa una fine persino peggiore, ma di sicuro in modo del tutto casuale
Una fine che però temeva
http://pinoscaccia.splinder.com/post/8198313/morto-lorenzo-necci-quando-una-notte-a-perugia-mi-confido-mi-vogliono-suicidare.
Ma non finisce qui.