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Vedendo nel sarcofago un funesto lettino psicoanalitico (ma Bertrand dice di aver vissuto sensazioni estasianti là dentro e quindi ecco un’ulteriore sovrapposizione, questa volta con il protagonista del film “pensato”), tutto ciò che segue dopo non ha alcuna spiegazione plausibile, è un imperterrito flusso mentale in cui si affastellano senza ordine le turbe dell’uomo-Bertrand (Bonello) che attraverso un processo vagamente freudiano ritorna ad una dimensione infantile; laddove il principio di realtà ha fallito (l’insoddisfazione nel mondo reale che viene bollato come mondo di “guerra”), è con la rappresentazione del principio di piacere che Bertrand trova completa realizzazione: nella costruzione di una famiglia ipotetica (i componenti sono fratelli e sorelle, la santona, Asia Argento, una mamma dai seni coperti, come se un briciolo di razionalità continuasse ad infastidirlo), nell’abbandonarsi a comportamenti a dir poco strambi (le maschere da animali o la danza frenetica al chiaro di luna), nell’immaginarsi di aver superato scogli personali come l’apprezzare la campagna o il fatto di saper nuotare.
Trattasi, ovviamente, di un’interpretazione di chi scrive perché il film trabocca di insensatezze che possono nuocere gravemente la visione. Più che altro essendo edificato su un discorso così tanto legato al regista francese può insinuarsi il dubbio che l’operazione contenga delle scorie egocentriche, una sorta di parlarsi (leggi: vomitarsi) addosso esponendo le proprie menate che ad uno spettatore qualunque potrebbero anche non interessare troppo. È un dubbio legittimo mitigato però da un talento sopraffino, Bonello è regista spiazzante in ogni soluzione visiva, amante delle carrellate, applica ludicità alla sua creazione creando un gioco nel dialogo con chi sta guardando, gran tessitore di atmosfere, qui non disdegna nemmeno l’ironia che prende vita sottoforma di argute citazioni cinefile: geniale il richiamo ad Argento, lampante quello a Kubrick, sgangherato quello per Coppola.
Forse, al pari di Tiresia, un film più da vedere che da capire.
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