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De la guerre - della guerra

Creato il 07 novembre 2012 da Eraserhead
De la guerre - della guerraCome per Le pornographe (2001) è un regista l’uomo in crisi d’identità. Ma se il Léaud di quel film viveva uno stato di disagio causato da fattori esterni (l’evoluzione del mondo della pornografia come cartina tornasole dell’involuzione di una persona, del suo mestiere, e della società), l’Amalric di De la guerre (2008) è un autore vicino al crollo emotivo che a prescindere da componenti extra comunque intuibili (“non voglio più fare la coda in un ufficio postale”), ha nell’intimità, nel profondo della coscienza, l’oscura origine del proprio male. Si tratta senza dubbio di un’opera-confessione, un diario di memorie che oscillano tra il possibile e l’impossibile, tra la materialità del corpo e l’onirismo dello spirito. La constatazione autobiografica è immediata: il personaggio di Bonello si chiama come lui, Bertrand, perché è esattamente il suo alter ego e lo si evince da dettagli come l’incubo tratto direttamente da una sequenza di Tiresia (2003), o dall’amicizia con l’attore Laurent Lucas nelle vesti di se stesso. Appurati i contorni della confessione che inoltre vedono nell’incipit il progetto di fare un film su un tizio affascinato dalla morte (un fantôme, ciò che di lì a poco diventerà Bertrand), dopo la nottata passata all’interno della bara la pellicola espande i suoi confini fino a sbriciolarli.
Vedendo nel sarcofago un funesto lettino psicoanalitico (ma Bertrand dice di aver vissuto sensazioni estasianti là dentro e quindi ecco un’ulteriore sovrapposizione, questa volta con il protagonista del film “pensato”), tutto ciò che segue dopo non ha alcuna spiegazione plausibile, è un imperterrito flusso mentale in cui si affastellano senza ordine le turbe dell’uomo-Bertrand (Bonello) che attraverso un processo vagamente freudiano ritorna ad una dimensione infantile; laddove il principio di realtà ha fallito (l’insoddisfazione nel mondo reale che viene bollato come mondo di “guerra”), è con la rappresentazione del principio di piacere che Bertrand trova completa realizzazione: nella costruzione di una famiglia ipotetica (i componenti sono fratelli e sorelle, la santona, Asia Argento, una mamma dai seni coperti, come se un briciolo di razionalità continuasse ad infastidirlo), nell’abbandonarsi a comportamenti a dir poco strambi (le maschere da animali o la danza frenetica al chiaro di luna), nell’immaginarsi di aver superato scogli personali come l’apprezzare la campagna o il fatto di saper nuotare.
Trattasi, ovviamente, di un’interpretazione di chi scrive perché il film trabocca di insensatezze che possono nuocere gravemente la visione. Più che altro essendo edificato su un discorso così tanto legato al regista francese può insinuarsi il dubbio che l’operazione contenga delle scorie egocentriche, una sorta di parlarsi (leggi: vomitarsi) addosso esponendo le proprie menate che ad uno spettatore qualunque potrebbero anche non interessare troppo. È un dubbio legittimo mitigato però da un talento sopraffino, Bonello è regista spiazzante in ogni soluzione visiva, amante delle carrellate, applica ludicità alla sua creazione creando un gioco nel dialogo con chi sta guardando, gran tessitore di atmosfere, qui non disdegna nemmeno l’ironia che prende vita sottoforma di argute citazioni cinefile: geniale il richiamo ad Argento, lampante quello a Kubrick, sgangherato quello per Coppola.
Forse, al pari di Tiresia, un film più da vedere che da capire.De la guerre - della guerra

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