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Dead country walking

Creato il 04 novembre 2013 da Conflittiestrategie

L’Italia è un morto che cammina. La London School of Economic le ha dato dieci anni di vita ma è già una previsione ottimistica. Finiremo prima ed anche con più sofferenze di quel che si paventa. Il Belpaese politicamente ha l’encefalogramma piatto, mentre il suo cuore economico ha quasi smesso di pulsare. Ogni giorno falliscono decine d’imprese (almeno 35), soffocate da una cortina di tasse e di balzelli che azzera la produttività ed ostacola gli investimenti. La tradizionale struttura industriale del nostro tessuto produttivo miniaturizzato è un guscio di noce nel mare in tempesta della crisi dove si salvano solo i grandi bastimenti e le corazzate armate di tutto punto. Chi non è attrezzato va alla deriva e prima o poi affonda. Il suo destino è dunque segnato perché piccolo non è bello ma fragile. Il risultato è che centinaia di lavoratori perdono il posto andando ad ingrossare le file di disoccupati. L’Istat ha fotografato la situazione, probabilmente addomesticando i dati per non dispiacere troppo il Gabinetto delle larghe “fraintese”, riproducendo, comunque, un quadro della situazione pessimo: 6 milioni sono senza lavoro, 2.899.000 hanno smesso di cercarlo perché sanno che tanto è inutile, e la maggior parte di questi vive al Sud. Il solito Meridione in rovina, emblema di una collettività disunita, dal quale proviene il grosso dei nostri politicanti che sogna l’Europa, (Boccia dixit) e si arrocca nel bieco provincialismo glocale.

Alle difficoltà intrinseche del Sistema-Paese si aggiunge una concorrenza internazionale spietata della quale non teniamo il passo. A fortiori, se lo Stato ti fa lo sgambetto ed ostacola qualsiasi innovazione che non rientri nel novero delle chiacchiere insostenibili dell’eco-sostenibile e delle nicchie economiche biodegradabili che devono essere tali per non disturbare gli affari, certo inquinanti ma molto più duraturi e promettenti, dei padroni del pianeta.

A tal proposito, vorremmo segnalare che negli Usa la sbornia delle energie alternative è ufficialmente conclusa, ovviamente, soltanto dopo che gli sciocchi di casa nostra se ne sono irrimediabilmente innamorati tanto da non riuscire più a cambiare target. Adesso è la devastante (sotto il profilo ambientale) estrazione dello shale gas che va di moda e grazie alla quale il Paese ha raggiunto una certa autonomia energetica. Infatti, dopo Solyndra anche la Abound Solar ha chiuso i battenti, nonostante le belle parole di Obama che vedeva dietro i due colossi del solare il futuro pulito e abbondante dell’America. Quest’ultima, tuttavia, è una nazione pragmatica che crea narrazioni senza infatuarsene troppo ed al momento giusto sa ritornare sui suoi passi mentre gli altri restano indietro credendo di guardare avanti. Anche far perdere terreno ai potenziali concorrenti è una maniera per fare più soldi ed acquisire lunghezze di vantaggio strategico sul resto della compagnia mondiale.

 

Per l’Italia, si dice che, oramai, con il mercato interno in stallo a trainare tutta l’economia nazionale siano soprattutto le esportazioni. Ma anche queste arretrano paurosamente e presto si arresteranno del tutto perché la Politica non è in grado di proteggere la penetrazione delle nostre merci all’estero. Le merci viaggiano più sicure se sono gli eserciti a scortarle, capovolgendo le convinzioni dell’illusionista liberista Bastiat.

Ricorrendo ad espedienti più o meno legali gli agguerriti competitors mondiali, i quali sanno che il Governo non muoverà un dito perché Roma non crede alle lacrime delle sue aziende, stanno facendo saltare molte commesse redditizie, mentre le piazze più remunerative ci vengono sottratte con manovre scorrette e bombardamenti intelligenti, ai quali noi poveri stupidi ci accodiamo con l’empatia incondizionata degli schiavi. Le contromosse dei nostri governanti sono dei miseri rimbrotti che non risolvono nulla ma testimoniano una volta di più della loro compiacenza verso le cricche della globalizzazione, dove entrano con il tovagliolo al braccio e l’Italia servita su un piatto d’argento. Si tratti di imprese pubbliche o di grandi compagnie private, le poche che riescono ancora a sopravvivere all’assenza di un coordinamento pubblico, la partita finisce sempre con una sconfitta. In casa o fuori casa la posta in palio se l’aggiudica il nostro avversario di turno che non ci lascia nemmeno le briciole.

In casi disperati come questi occorrerebbero terapie shock per rimettere in piedi il paziente ma la classe dirigente che ci guida su un sentiero sbagliato riesce appena ad annunciare improbabili ripresine, che dovrebbero arrivare per opera dello spirito santo, e inverosimili manovre di stabilità che rendono costante lo sprofondamento. I numeri sono impietosi e descrivono un Paese in bancarotta finanziaria e morale, privo di orgoglio e di aspirazioni al quale non restano che le illusioni e gli inutili dibattiti sui diritti civili, l’unguento di tutti i miserabili colonizzati e contenti.

Ma andrà anche peggio di così, finché a sgovernarci sarà questo teatrino di partiti la cui regia è affidata a Washington e Bruxelles. Uno dei figli prediletti di queste bande di criminali, dopo aver affermato che l’Italia ha superato il guado delle difficoltà economiche, ha prospettato il saccheggio delle imprese pubbliche che saranno privatizzate per fare cassa. Fabrizio Saccomanni, nomen omen, Ministro dell’Economia ed ex DG di Bankitalia, vuole collocare sul mercato le quote in mano al Tesoro di ENI e di Finmeccanica, gli ultimi fiori all’occhiello dell’industria strategica italiana. Adesso, se è vero che siamo fuori dalla crisi perché vendere l’argenteria di famiglia? Costui crede che non siamo in grado di fare i conti della serva? Di sicuro lui fa benissimo quelli del servo.


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