Da
Vero, mio avo, costumi retti e mitezza d’animo.
Dalla
reputazione e dalla memoria del padre mio, modestia e carattere
virile.
Da
mia madre, il rispetto per gli Dei, la liberalità, la frugalità, il
rifuggire la vita fastosa dei ricchi.
Dal
mio bisnonno, l’aver avuto in casa insigni maestri e l’aver
capito che, riguardo a questo, non bisogna lesinare sulle spese.
Dal
mio precettore, il non aver parteggiato né per la fazione dei
“verdi”, né per quella degli “azzurri”, il saper sopportare
le fatiche, l’accontentarmi di poco, il saper bastare a me stesso,
il non immischiarmi negli affari altrui, il non prestare orecchio
alle calunnie.
Da
Diogneto, il trascurare le inezie, il non credere alle chiacchiere
dei fattucchieri, il valorizzare la schiettezza, l’aver coltivato
gli studi filosofici.
Da
Rustico, l’aver concepito la necessità di correggere il mio
carattere e di vigilare su di esso, il non ostentare austerità o
prosperità per essere ammirato, a leggere attentamente e a non
accontentarmi di una comprensione superficiale.
Da
Apollonio, l’indipendenza dello spirito, la fermezza d’animo, la
circospezione, ad essere inflessibile e mite.
Da
Sesto, la benignità e l’esempio del buon padre di famiglia, l’idea
della vita secondo natura, la serietà senza affettazione, la
necessità di aiutare sempre gli amici, la sopportazione verso gli
ignoranti, la propensione a dir bene degli altri e ciò senza
strepito, l’amore per la cultura senza ostentazione.
Da
Alessandro il grammatico, il non censurare alcuno, il non biasimare
chi discorrendo cada in errore, ma facendogli capire, con abilità,
l’essenza del suo errore sotto l’apparenza di rispondergli o di
seguirlo nella sua idea.
Da
Frontone, l’aver conosciuto quanta invidia, frode e simulazione
esista nei tiranni e come, in complesso, coloro che tra noi sono
detti patrizi abbiano meno cuore degli altri.
Da
Alessandro il platonico, il non dire ad altri, o scrivere “io sono
occupato”, né l’avvezzarmi in siffatta maniera a esimermi dagli
obblighi verso coloro tra i quali vivo, accampando la scusa
dell’urgenza degli affari.
Da
Catulo, a non trascurare le lamentele di un amico, anche se egli si
lagni senza motivo, ma di fare il possibile per rasserenarlo.
Da
Severo, l’attaccamento verso la famiglia, la verità e la
giustizia; l’aver concepito uno Stato nel quale le leggi siano
uguali per tutti e così i diritti di ogni individuo e la libertà di
parola.
Da
Massimo, il saper padroneggiarsi, il non lasciarsi prendere la mano
in nessuna evenienza, il superare con serenità le malattie come
l’avversa fortuna, e la moderazione del carattere.
Dal
padre mio adottivo, l'imperatore Antonino Pio, mitezza e perseveranza
nelle deliberazioni ben ponderate, il disprezzo dei cosiddetti onori,
l’amore per il lavoro e la tenacia, la capacità di ascoltare, la
fermezza nel ricompensare secondo il merito, l’esperienza nel
sapere quando sia necessaria la severità quando la clemenza, l’avere
il senso della comunità, la cura nell’indagare le cose con
attenzione e non accontentarsi della prima impressione, la capacità
di prevedere i fatti, il reprimere plausi e adulazioni, il vigilare
costantemente ai bisogni dello stato.
Marco Aurelio (121- 180 d.C.),
Colloqui con se stesso, Cap. I