Apparteniamo a un mondo che facciamo nostro perché di esso ci impossessiamo solo fisicamente: il fango sotto le scarpe, la salsedine sul corpo e la pioggia tra i capelli. Siamo capaci di renderne omaggio, di venerarla o di disprezzarla, senza sapere bene a chi appartiene veramente. Chi è stato l’artefice? Né tu, né io, e allora chi, ha avuto un coraggio superiore alla storia? Chi, idee prevaricanti gli schizzi dei progettisti? Chi, fantasia così inimmaginabile? Chi, questa grande strategia che ci rende scalzi, nudi e piatti, sulla superficie del mondo?
Apparteniamo al mondo, sì, ma con il pensiero e la mente, cerchiamo di distruggerlo perché è più grande di noi, perché abbiamo un debole per le imprese impossibili. Ma poi ci stanchiamo, ci fermiamo un attimo e senza soluzioni ci concediamo al mistero.