Linea 1. Eh. C’è qualcosa che non mi torna, appena salita in metro; troppi sguardi orizzontali, quasi nessun capo chino. Poche fermate prima di Toledo finalmente l’attenzione si arena tutta su uno zaino che oscilla, tenuto a spalla per miracolo. Sotto lo zaino una giacca, che ha la meglio sulla folla, sulla temperatura e sul tentativo impertinente dello zaino di tirarla giù. Lo sguardo (il mio) trova riposo correndo fino a un braccio sinistro, e un titolo: Decameron. Risalendo su trovo gli occhi di Lettore. Anche lui tiene il suo (lo sguardo) orizzontale, si, ma è diretto nel vuoto. Guarda fisso di fronte, come si guarda fisso perché si è a servizio di pensieri stropicciati o alla ricerca di concentrazione. Non sembra distratto, piuttosto un essere umano in pausa, pur se non è dato sapersi da cosa. Vivo, non vitreo. Cerca di prendere qualcosa dalla tasca, al rallentatore. Potessi avere un traduttore simultaneo credo che indovinerei una buona metà di quei pensieri incastrati nella lentezza delle azioni, e nella volontà di continuare a fare quello che si deve fare, in contemporanea, come a non volergli lasciare troppo spazio. I pantaloni sono verdi, gli orecchini sono otto. Gli occhiali, non da sole, sono appesi alla tasca sinistra, di sicuro per leggere non servono. Ci si passa il testimone, tra passeggeri-in-pausa all’interno di una metropolitana dove il cellulare è isolato: si legge e si può guardare, fisso, i pensieri fissi degli altri.
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