La mia avventura con i Decapitated inizia nel 2004, anno in cui scoprii per puro caso Nihility, secondo disco di questa band polacca composta da giovanissimi musicisti con delle palle così, capaci di gestire i propri strumenti tirando fuori un death metal moderno, tecnico e con un occhio di riguardo per il groove. All’epoca era già uscito il seguito The Negation (che, ahimè, mi sfuggì) e i Decapitated erano ormai una band formata, priva di quell’immaturità seppur giustificabile, vista l’età, che permeava i primi lavori. Nel 2006 esce Organic Hallucinosis e, un anno dopo, la tragedia che tutti ricordano: l’incidente con il tour bus che costò la vita al batterista Vitek (23 anni all’epoca) e che chiese un tributo altissimo anche all’ex cantante Covan. Seguirono alcuni anni di stallo durante i quali Vogg, chitarrista e da sempre mastermind della band, decise di organizzarsi e tenere in piedi la baracca con l’ausilio di altri musicisti. Il ritorno Carnival Is Forever, targato 2011 apriva spiragli di miglioramento e, seppur incompleto, accennava ad un’auspicabile ripresa.
Ecco perché quando venne annunciato Blood Mantra le mie aspettative erano, se non alte, considerevoli. E in buona parte devo ammettere che non sono state deluse; sin dall’opener Exiled In Flesh veniamo travolti da un tornado di blast beat e riff inquadrati che strizzano più d’una volta l’occhio a certo industrial alla Fear Factory dei tempi che furono. La prima metà del disco è una festa per l’apparato uditivo, i Decapitated sparano una cannonata dietro l’altra senza annoiare mai. Il mio primo pensiero fu rivolto a svariate divinità affinché tutto il platter si mantenesse su questi livelli ma si sa, gli dei sono creature volubili e le mie preghiere non sono state ascoltate. A fronte di una prima metà del disco in stile all killer-no filler, nella seconda parte dell’album si assiste ad un vistoso calo di ispirazione: le canzoni assumono una lunghezza eccessiva arrivando a sfiorare gli 8 minuti e il songwriting stesso si appiattisce, facendosi eccessivamente ritmato e cauto, portando inevitabilmente alla noia. Non basta purtroppo rialzare leggermente il tiro in chiusura per sanare quella che è, a tutti gli effetti, una mezza delusione. L’impressione è la stessa che si proverebbe guidando un’auto sportiva su un circuito da gara, avete presente quelle macchinone da 300 cavalli? Ecco immaginate di stare sfrecciando a 280 all’ora su un rettilineo quando di colpo vi finisce la benzina e rimanete lì, come dei fessi a cui hanno staccato la spina. Ripeto, è un peccato imbattersi in dischi del genere perché sarebbe bastato poco per portare a casa uno dei risultati migliori dell’anno, invece Blood Mantra finisce con l’essere, a suo modo, nulla di più di un coito interrotto.